Un settore che vale quasi il 6% del Pil

Il settore della distribuzione automobilistica si ritrova a Verona, a un anno di distanza, nuovamente sotto gli auspici dell’Automotive Dealer Day. Nel frattempo, la crisi globale del mercato non ha dato tregua e in Italia il mancato rinnovo degli incentivi pubblici a sostegno delle vendite ha fatto emergere con forza le contraddizioni e i vizi di un intero comparto che ancora erano rimasti nell’ombra. Dei cambiamenti annunciati, del ruolo dell’industria nazionale e delle possibili direttrici strategiche, degli ipotetici scenari in uscita dall’attuale congiuntura e dei nuovi modelli di business per i concessionari si discute a fondo nelle numerose sessioni seminariali e convegnistiche che la manifestazione veronese propone a partire da oggi e per due intere giornate. Di fatto, l’Automotive Dealer Day può già attribuirsi il merito di aver promosso un utile cambio di prospettiva. Perché quando si tratta del settore automobilistico il riferimento, ovvio e diretto, è puntualmente legato alle case che producono, lasciando al resto delle aziende della filiera il ruolo e la visibilità che si riconosce a un gregario qualsiasi. Mettere invece per una volta al centro dell’interesse il comparto della distribuzione dell’auto significa aggiungere un diverso e più ampio punto di vista, peraltro giustificato anche da una consistenza economica da non sottovalutare. La filiera a valle della produzione rappresenta, infatti, una realtà imprenditoriale contraddistinta da un elevato peso sia rispetto ai dati di carattere occupazionale - le reti di vendita e di assistenza e i servizi associati danno lavoro a circa 250mila addetti su tutto il territorio nazionale - sia in termini di Pil, con un contributo che gli analisti stimano assai vicino al 6%. Eppure è una categoria che di rado compare sotto i riflettori e non sembra godere di particolare ascolto quando reclama una maggiore sensibilità per le problematiche che la riguardano.
Il settore della distribuzione ha goduto di una buona redditività fino agli anni ’90, ciò che ha permesso agli operatori di affrontare i cali fisiologici del mercato, lo stesso che oggi è invece caratterizzato da margini di contribuzione assai ridotti. Con ritorni sugli investimenti talvolta inferiori all’1%, le aziende faticano sempre più a gestire i delicati equilibri economico-finanziari legati alla rapida e incessante evoluzione del contesto di riferimento. Va registrato che i punti vendita delle concessionarie auto in Italia negli ultimi 10 anni si sono quasi dimezzati, passando, secondo l’European car distribution handbook, da poco più di 12mila nel 2000 ai circa 6.500 di oggi. E i dati di Federaicpa, il sodalizio di categoria, concordano nel testimoniare la tendenza, rilevando più o meno 2.500 imprenditori rimasti sul mercato.

E se, sottolineano all’associazione, i concessionari non guadagnano (oggi quasi uno su sei, dicono, rischia di chiudere), sono a repentaglio tanto i livelli occupazionali, quanto la molteplicità dei servizi e l’assistenza cui i clienti hanno diritto.

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