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Si rischia la manovra bis Monti vuole l'Iva al 23%

Il Documento di economia e finanza ha ritoccato in peggio la stima sul Pil e l’esecutivo raschia il barile per ridurre il deficit. Servono altri 10 miliardi

Roma - E se nel nostro immediato futuro ci fosse una nuova manovra? La domanda è inquietante. Forse addirittura terrorizzante. Ma sorge spontanea, come diceva Riccardo Pazzaglia, considerando l’obiettivo del raggiungimento del pareggio di bilancio entro il 2013; e considerando che le cose sono cambiate in peggio negli ultimi mesi. Ieri nella bozza del Documento di economia e finanza (Def) che sarà oggi all’esame del consiglio dei ministri il governo ha ritoccato in peggio la stima sull’andamento del Pil (il prodotto interno lordo, in pratica la ricchezza prodotta dal Paese), che per l’anno in corso è data al -1,2 per cento. Un dato decisamente più ottimistico rispetto alla stima del Fondo monetario internazionale, che nel suo «Fiscal Monitor Report» reso noto ieri parla di un orribile -1,9 per cento; e appena più roseo rispetto al -1,3 stimato un paio di mesi fa dalla commissione europea (terzo peggior Paese dei 27 dopo Grecia e Portogallo, con cali del Pil che assomigliano a piaghe bibliche). Ma comunque un crollo rispetto alla stima di un blando -0,4 per cento degli ultimi documenti ufficiali del governo. Solo a partire dal 2013 tornerà il segno «più» davanti al Pil, con una crescita lieve (+0,5). Da allora in poi l’accelerata sarà più sicura, con un aumento della ricchezza complessiva stimata all’1 per cento tondo nel 2014 e all’1,2 nel 2015.

Insomma, chi ha cannocchiali molto potenti intravede qualche sorriso in lontananza. Ma molto in lontananza. Nell’immediato futuro i numeri che abbiamo sciorinato, lungi dall’essere semplici astrazioni, rischiano di avere una profonda influenza sulla nostra vita quotidiana. Essendo, infatti, il pareggio di bilancio l’equilibrio algebrico tra deficit e Pil (al netto degli interessi del debito pubblico), il calo della stima del Pil peggiora anche il rapporto deficit/Pil, che secondo il Def di Palazzo Chigi nel 2012 dovrebbe essere dell’1,7 per cento, e nel 2013 dello 0,5, in odore di parità. Anche qui però il Fondo monetario internazionale è assai più pessimista: stima un rapporto deficit/Pil del -2,4 per cento nell’anno in corso e sposta in avanti il traguardo del pareggio di bilancio di ben quattro anni, collocandolo nel 2017.

Al di là delle differenze tra Roma e Washington, quel che è certo è che una netta diminuzione del Pil comporta la necessità di una riduzione del deficit che può essere ottenuta sostanzialmente in due modi: aumentando le entrate e riducendo le spese. Quindi, più tagli e più tasse. Nuove lacrime e nuovo sangue che potrebbero essere recapitate agli italiani con una manovra che è presumibile ipotizzare venga predisposta a giugno, e cioè dopo l’appuntamento elettorale.

E di quanto sarebbe questa manovra? L’ipotesi è una decina di miliardi. Difficili, difficilissimi da reperire, visto che l’ultima manovra ha già raschiato il fondo del barile. Quasi impossibile, quindi, sfuggire a un anticipo del nuovo aumento dell’Iva, che potrebbe essere portata dal 21 al 23 per cento. Due punti percentuali che, su base annua, inciderebbero per 7,2 miliardi. Ma naturalmente il dato per il 2012 sarebbe almeno dimezzato, entrando in vigore l’aumento dell’aliquota a metà anno. Insomma, una stangata necessaria ma non sufficiente. Che però rischia di creare serissimi problemi al governo Monti. Ieri il segretario del Pdl, Angelino Alfano, nel corso del vertice tra il premier e i leader dei partiti che lo sostengono lo ha detto chiaramente: no a nuove tasse per famiglie e imprese. E no a un aumento dell’Iva nei prossimi mesi.

Anche perché c’è un altro dato impressionante contenuto nella bozza del Def, quello che riguarda la pressione fiscale, che nel 2012 sarà del 45,1 per cento, con un aumento vertiginoso rispetto al 42,5 del 2011. Un dato che aumenterà ancora nel 2013 (45,4) per poi invertire la tendenza con una curva molto larga nel 2014 (45,3) e nel 2015 (44,9).

Considerando che alla resa dei fatti la realtà corregge le stime solo in peggio, non c’è proprio da stare allegri.

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