Cronache

La signora dei ghepardi si appella alla Namibia: "Salvate questo felino"

Sono rimasti in vita solo 7.500 esemplari: "Occorre scoraggiare gli agricoltori armati"

La signora dei ghepardi si appella alla Namibia: "Salvate questo felino"

Esistono cause che durano anni, esistono cause che scavalcano i confini. Quella di Laurie Marker, la «signora dei ghepardi», zoologa americana, una delle massime esperte di ghepardi al mondo, è una causa iniziata più di trent'anni fa. Il suo obiettivo? Salvare i ghepardi dall'estinzione. «I ghepardi sono molto timidi, molto selvaggi, hanno degli incredibili occhi profondi di ambra, la cui essenza mi ha colpita. Sono rimasta affascinata dai ghepardi e volevo sapere tutto su di loro».

Il primo incontro di Laurie con questi animali è avvenuto in America. «La prima volta che ho visto i ghepardi è stata in un wildlife park in Oregon, dove lavoravo nei primi anni 70. I ghepardi erano sotto la mia tutela ma non li conoscevo». Poi, in Namibia: «era il 1977 quando ci sono andata per la prima volta e ho scoperto che gli allevatori di bestiame ne stavano uccidendo tanti». Fortunatamente, le cose sono cambiate molto. Ma il numero di ghepardi è ancora in declino». Durante un incontro all'Università di Milano, sede di Lodi, sui grandi predatori Laurie parla delle sfide globali per la conservazione dei ghepardi e racconta anche dell'impegno della sua fondazione, creata nel 1990, il Cheetah Conservation Fund (CCF) di Otjiwarongo in Namibia e delle cose che stanno facendo e che hanno fatto per riuscire a preservare e salvaguardare il gattone più veloce del mondo: dallo studio, alla clinica veterinaria, dalla formazione all'educazione. Oggi questi animali sono meno di 7500 a livello globale (in 23 paesi) e la maggior parte di loro vive in Namibia. Sono estinti in più di 20 paesi in cui erano presenti. Adesso, ci sono 35 ghepardi orfani nel centro di Laurie e alcuni baby ghepardi sono stati confiscati in Somaliland nell'agosto del 2018. La tratta dei ghepardi è implacabile: per ogni ghepardo che arriva sul mercato, 5 ghepardi muoiono. Purtroppo, c'è anche un altro problema: la genetica. Questi animali sono anche molto fragili, dato che hanno subito una perdita di diversità nel patrimonio genetico. Ma la minaccia ai ghepardi non viene solo da questi fattori: un importante fattore è il rapporto con l'uomo. Per i contadini il concetto è: «vediamo un predatore, uccidiamo un predatore». Creare un centro e diffondere consapevolezza tra gli allevatori «all'inizio è stato difficile». Del resto, l'allevamento costituisce il 70% delle fonti di reddito dei namibiani e il bestiame è importante. Ma un predatore non è solo un aggressore, è anche una risorsa. Gli allevatori «non capivano quanto fosse prezioso un predatore per l'ecosistema». Uno dei metodi usati per aiutare gli allevatori è l'introduzione di un cane pastore turco. Un cane con attitudine simile al nostro maremmano, ma con il pelo più corto: «può vivere in climi caldi, anche nel deserto e resiste alle fredde notti della Namibia». Può «coprire vaste distanze ed è un pensatore indipendente». Sono «cani cresciuti con il bestiame», spiega Laurie. Sono guardiani naturali. Dal '94 sono stati inseriti nelle farm più di 650 cani. Grazie ai cani, oltre l'80% delle perdite di bestiame viene scongiurato. «Penso che la conservazione sia qualcosa che non finirà e che aiuterà il mondo a cambiare». Il ghepardo è una specie a rischio e i nostri figli probabilmente non lo vedranno. Questo è il messaggio che Laurie Marker sta portando in giro per l'Europa, da Strasburgo, all'Italia, Svizzera, Germania, Belgio, Paesi Bassi, Francia e Austria, per cercare soluzioni condivise. «It's in your hands. You have to make the difference».

Perché ciò che succede a livello globale si ripercuote anche nella nostra piccola fetta di mondo.

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