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Silvio bacchetta il Milan: "Non fa quel che dico"

I rimproveri di Berlusconi: la ripresa giocata solo in difesa e il deficit fisico con i bianconeri impegnati anche in coppa

Silvio bacchetta il Milan: "Non fa quel che dico"

A Milanello c'è bisogno di un metro. Serve per misurare la discussa e controversa distanza tra il Milan di Inzaghi, appena risorto dalle ceneri dell'ultima stagione, e la Juve padrona che invece di risentire del passaggio da Conte ad Allegri, ne ha invece ricavato nuove risorse. A sentire Pippo Inzaghi, a fine partita malmostoso con l'arbitro Rizzoli (non salutato a metà-campo con l'aggiunta di una chiosa polemica, «mi dicono di alcuni episodi molto dubbi»), la distanza misurata l'anno prima si è accorciata. «Non potevamo pensare di mettere sotto la Juve ma io sono molto contento, pensavo fossimo ancora più distanti», la sua dichiarazione conclusiva che è un tentativo, evidente, di non deprimere lo spogliatoio passato da uno stato di grazia a una serata di cocente delusione. Testimoniata, e forse questo è un altro aspetto da segnalare, anche dall'assenza di esponenti rossoneri in mixed-zone, a fine partita per commentare la sconfitta con televisioni e carta stampata. «Il Milan ha tenuto testa fino alla fine alla Juve», a caldo è stato l'altro giudizio, di sostegno pubblico, firmato da Barbara Berlusconi sabato notte dopo aver vissuto la sfida al fianco del papà in tribuna d'onore. A onor del vero, la precedente sfida con la Juve, fu scandita da ben altra qualità di calcio: Bonucci sulla linea di porta e le prodezze di Buffon tennero lontano Kakà e soci da un vantaggio strameritato. Solo con l'arrivo della ripresa, il Milan di Seedorf si sgonfiò e Tevez lasciò il segno, moderno Zorro calcistico, sulla pelle del rivale.

Alla fine di una domenica piena di accurate riflessioni (tattiche e atletiche) e di propositi per un pronto riscatto da guadagnare domani ad Empoli, il dibattito sulla distanza calcistica tra Milan e Juve è stato concluso da una frase di Silvio Berlusconi, il presidente, uscito da San Siro subito dopo la velenosa stilettata di Tevez sotto il costato di Abbiati. A Sirmione, ospite del convegno organizzato da Mariastella Gelmini, ha risposto così a un tifoso-elettore che gli ha rivolto una preghiera («Presidente, deve andare ancora più spesso a Milanello»): «Ma se poi non fanno le cose che dico io…». Il tono della chiosa e l'espressione del viso, sorriso a mezza bocca, non hanno avuto il peso né il senso di una frustata, semmai di una indulgente spiegazione della figura non esaltante del Milan. Al quale il presidente ha rimproverato, in sintesi, un paio di limiti vistosi: 1) la resa incondizionata della ripresa tutta giocata nella propria metà-campo; 2) il deficit fisico denunciato al cospetto di una Juve, che in settimana aveva speso energie preziose in Champions.

Metro in più o in meno, i conti si faranno tra qualche tempo ma nel frattempo è cosa buona e giusta segnalare che, anche dal punto strategico, il piano preparato da Inzaghi ha denunciato qualche sbrego. Per esempio in fase difensiva l'utilizzo di De Jong come sentinella di Tevez ha impedito a Carlitos di trovare varchi per oltre un'ora ma di fatto ha permesso a Marchisio, ignorato da Menez in fase di ripiego, di diventare il padrone del centrocampo e di usufruire di una vistosa e produttiva libertà (palo scheggiato nel primo tempo). Forse è la conferma che a centrocampo la coperta rossonera è ancora troppo corta (prima del recupero di Montolivo). E che il contropiede dev'essere una risorsa ma non la sola arma a disposizione così che quando c'è stato bisogno di risalire la corrente, Pippo ha lanciato nella mischia Bonaventura, Torres e Pazzini in un colpo solo modellando la squadra secondo un 4-2-4 che può diventare solo la mossa della disperazione, non un sistema di gioco affidabile. «L'importante è rifarsi a Empoli per tornare in vetta» è stata la ricarica di Inzaghi. Visto l'Empoli di Cesena sembra facile..

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