La sindrome della divisa e le nostre piccole malignità quotidiane

Fa sempre specie constatare quanto basti una divisa o il semplice stare al di là dello sportello per ingigantire/distorcere la percezione del proprio io. Questa cosa provoca un’infinità di danni: se così non fosse non vivremmo/subiremmo quotidianamente la maleducazione e la strafottenza nei vari uffici pubblici. Sarà capitato a tutti voi di dover stare dietro a uno sportello mentre l’impiegato di turno si fa bellamente i fatti propri, scherzando magari con un collega, o terminando, con calma, di sistemare altro!
Credo che l’aggravante di tale situazione sia che la sindrome della divisa e di chi si arroga di fare il cattivo tempo, dilaga anche in chi sta dall’altra parte della barricata, permettendo di conseguenza il perpetuarsi di questa fastidiosa e cattiva abitudine!
Non so se sia una sindrome soltanto nazionale...

Cara Ilaria, sulla «sindrome della divisa» - e sulle piccole, meschine angherie che essa comporta - si sono scritti interi trattati. Ma vedo con soddisfazione che lei coglie anche un aspetto che solitamente sfugge all’osservazione: e cioè l’effetto-contagio che porta anche «chi sta dall’altra parte della barricata», quindi gli utenti, a comportarsi con pari maleducazione.
Su questo tema c’è un illuminante racconto del grande Achille Campanile, che s’intitola «La malignità» e che è raccolto nel volume «Asparagi e immortalità dell’anima». Campanile parte dalla figura di un controllore del tram, che ferma un passeggero e gli chiede di «favorire il biglietto». «Nella sua voce - scrive Campanile - trema la speranza di trovarlo in contravvenzione. Non per la multa da riscuotere o per l’abuso da stroncare, ma per il piacere di sorprendere l’altro in difetto (...) pregusta già l’imbarazzo, la confusione dell’altro colto in fallo e si prepara a godersi queste sensazioni squisite». Ma il passeggero non è meno perfido: «È tutto contento d’essere incappato nel controllore, perché fortuna vuole che abbia fatto il biglietto. È contento non tanto per la soddisfazione d’essere in regola, d’aver compiuto il proprio dovere o di evitare la multa, quanto perché sa che il controllore preferirebbe coglierlo in fallo e così lui gli farà un dispetto e in un certo senso gliela farà in barba, frustrando le di lui speranze di fargli la contravvenzione».
Il racconto prosegue con un altro fatterello ancor più significativo. Ludovico, un agente della polizia stradale ferma un automobilista e gli chiede i documenti, poi di mostrargli il funzionamento dei fari, delle frecce eccetera. «Tutto è in regola e Ludovico si fa sempre più scuro. Spera non di trovare tutto a posto, ma di scoprire almeno qualche piccola irregolarità». Ma - attenzione! - non per multarlo. «Talvolta, quando trova l’irregolarità, si rasserena. Per conseguenza finisce con l’essere quasi gentile e benevolo verso colui il quale non è in regola, più che non lo sia verso colui che è in regola»: in modo da poter far sfoggio della propria indulgenza. Così siamo fatti, cara signora.

Talmente piccini che a volte anche un gesto di bontà è, in realtà, una malignità.

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