La sinistra che sa soltanto plagiare

Tre fatti nuovi ci sono e non vanno sottovalutati. Il primo, ovviamente, è la candidatura di Walter Veltroni alla guida del Partito democratico, che comunque è ancora di là da venire.
Gli altri due non sono meno importanti, anzi forse lo sono anche di più perché mordono la storia: la condanna di Togliatti pronunciata da Piero Fassino per la morte nei Gulag o addirittura per fucilazione di comunisti italiani ai tempi di Stalin; la difesa fatta da Massimo D’Alema dello «scalone» per le pensioni voluto da Roberto Maroni, osteggiato invece dal resto della sinistra, fino a farne un motivo di tenuta della maggioranza, e dei sindacati.
Davvero, ammettiamolo, questa non è «acqua fresca». Certo, al contrario, nel discorso di Veltroni al Lingotto di Torino ci sono retorica, populismo e soprattutto tanta levità e ovvietà di concetti, ma anche qui attenzione a non reagire con leggerezza e superficialità.
C’è del nuovo, riconosciamolo, sulla sponda sinistra, e conviene rifletterci. Se Fassino e D’Alema - l’uno più onesto intellettualmente, l’altro spregiudicato, ma acuto come pochi altri politici - hanno pronunciato giudizi tanto inusitati, qualche conseguenza finirà per esserci. Vuol dire, insomma, che in certa sinistra è penetrata a fondo la convinzione che se non si cambia registro con idee e atteggiamenti la partita è bella che finita, come dimostrano del resto gli umori dell’opinione pubblica. Questa volta l’antipolitica, non c’è dubbio, punta i suoi aculei anche verso sinistra, e i più intelligenti di quella sponda ne hanno preso atto.
Non si va a San Pietroburgo a scoprire una lapide alle vittime di Stalin (e della prudenza, chiamiamola pure così, di Togliatti), non si osteggia per caso una battaglia che certa sinistra e i sindacati considerano fondamentale. C’è del serio in questo endorsement, almeno nelle intenzioni strumentali.
È una scelta ben precisa.
Dunque, occorrono risposte forti, razionali, lontane dalla retorica, concrete e sostanziali, ch’è il solo modo per affrontare la crisi in cui siamo immersi. Non basta, no, replicare: stanno dicendo cose che noi diciamo da sempre, ci stanno copiando. In politica ciò accade, è sempre accaduto. Bisogna controbattere il plagio con l’intelligenza e la serietà dei fatti, dei concetti, degli uomini.
Ricordate quando in Inghilterra spuntò il laburista Tony Blair con idee addirittura thatcheriane? Avete visto quanto è durato, e i conservatori tuttora relegati all’opposizione?
La diagnosi fatta da Veltroni a Torino è certamente copiata, ma è realistica. È la nostra, già: c’è un Paese che, nella disperazione da cui è afflitto, chiede di poter ancora sperare, una democrazia da rinvigorire e rinnovare, una classe dirigente, questa sì davvero nuova, da creare, vanno superate le parzialità delle diverse culture politiche, va messa fine agli scontri feroci, il Paese insomma è stanco della politica avvolta nell’odio e bisogna voltare pagina.
C’è sì della retorica in questi concetti, ma c’è anche la realtà che viviamo ogni giorno da diversi lustri ormai.
Una realtà che va sempre più gonfiandosi, che è diventata un tumore che distrugge valori e istituzioni, sicché la vita politica oscilla tra umilianti baruffe e il rischio di precipitare in una infernale geenna; dalla quale sale una putredine che in qualche modo ha infettato anche la vita sociale.
Veltroni si illude, certo, di poter operare il miracolo del risorgimento del centrosinistra con le sue belle parole. Intanto chissà se arriverà al 14 ottobre, la data fissata per lo scatto della sua candidatura.
Già la weltanschauung esibita con piglio cinematografico a Torino contiene contraddizioni difficilmente conciliabili. Come si fa a tenere insieme De Gasperi, Togliatti, Rosselli, Parri, don Milani e chissà quant’altri padri nobili? Ci aggiungerà Kennedy, Clinton, Blair?
Qui c’è davvero la peggiore oclocrazia, c’è da sempre la tattica politica per accattivarsi il favore della moltitudine. Ma dove arriverà così bardato? D’Alema, è vero, l’ha lanciato, Fassino l’ha subito, e sulla strada ci sono Rutelli, Parisi, Bersani, Finocchiaro, Letta, persino la Bindi, che qualcosa più dell’accodato Franceschini contano. Vedremo.
Quanto alla sponda su cui noi siamo collocati con profonde convinzioni liberali, non abbiamo che da chiedere quel che andiamo dicendo da sempre: serietà e ponderazione.

E, soprattutto, la creazione di una appropriata classe dirigente, la migliore possibile.

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