Sinistra divisa tra lotta e potere ma con un unico nemico: Prodi

Non in piazza ma in Parlamento bisogna cercare l’emblema del governo Prodi, per trovare la rivoluzionaria legge sui Dico di nuovo, adesso, sotto i riflettori: scritta, riscritta, approvata dal Consiglio dei ministri, difesa nelle conferenze stampa e infine abbandonata al mesto e inclemente destino del Senato. Quel «vorrei ma non posso» a proposito dei diritti da riconoscere alle coppie di fatto anche dello stesso sesso, ha finito per caratterizzare l’intera azione dell’esecutivo all’insegna dell’indecisione. Di fronte a un ministro, Clemente Mastella, che si faceva fotografare alla giornata promossa per la famiglia, ecco che altri tre ministri hanno partecipato alla successiva e contrapposta mobilitazione per l’orgoglio omosessuale. L’uno contro gli altri, l’una manifestazione che annulla il senso politico dell’altra. Ma la maggioranza sta di qua e di là.
Altra piazza, altra precedente e grave incongruenza. Mentre il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri ricevevano George W. Bush con gli onori del caso, rappresentanti della sinistra massimalista al governo protestavano in piazza del Popolo contro la visita. Di più. La capitale veniva tappezzata dai manifesti con la scritta «irricevibile» sopra il volto stilizzato dell’odiato inquilino della Casa Bianca. Spiccava una firma nella propaganda: Rifondazione comunista, cioè il partito del governo e dell’istituzione che vanta il suo più celebre e borghese esponente alla guida della Camera. Il centrosinistra accoglieva e allo stesso tempo respingeva. Né le cose andarono meglio per l’ampliamento della base americana a Vicenza: l’esecutivo l’avallava, ma ampie parti del medesimo marciavano e marceranno ancora contro il «sì» agli Usa. Maggioranza filo-americana e anti-americana all’unisono. Perfino a fronte di un provvedimento di natura parlamentare quale fu l’indulto, il ministro Antonio Di Pietro si dissociava pubblicamente dal collega Mastella, e il governo conosceva per la prima volta dal suo insediamento il singolare principio a cui si sarebbe sempre attenuto nelle scelte principali: istituzione di lotta e di governo. Maggioranza che può legiferare in un modo a Palazzo Chigi e poi assistere alla demolizione del legiferato da parte di suoi componenti in piazza. Centrosinistra che s’impegna per la Tav o per le riforme previdenziale ed elettorale salvo impantanarsi, un minuto dopo, tra i veti rosso-verdi, sindacali, partitocratici.
In sessant’anni e oltre cinquanta governi non s’era mai vista un’opposizione radicale dentro, anziché fuori, dall’esecutivo. E «visto» è la parola giusta, perché tale dissenso viene esibito, ostentato e non solamente proclamato. È un dissenso strutturale, non occasionale. Al punto che alle manifestazioni sui diritti civili o sulla politica estera dell’Italia, lo stesso Prodi viene ormai preso a bersaglio come un avversario a tutti gli effetti. Vien da domandarsi, perciò, se i ministri e i rappresentanti del centrosinistra che aderiscono a queste plateali iniziative siano diventati ciechi e sordi. Oppure se trovino naturale contribuire a fare la tela del Prodi-Penelope per poi disfarla neppure nella notte ma col conforto del sole di Roma. E vien da chiedersi come possa un presidente del Consiglio accettare che la sua controversa politica, già scarsa di decisioni, sia costantemente contrastata, addirittura sbeffeggiata dagli alleati. Il governo se le canta e se le suona. Fa, rifà e disfa tutto da sé. Ma il risultato è che la maggioranza partorisce i Dico e poi li affonda in Parlamento. Sotto la contrapposizione, niente.
f.

guiglia@tiscali.it

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