Politica

La sinistra parla. Berlusconi (e l’Italia) vincono

Nonostante i tentativi di «sgambetti», l’azzardo di organizzare il summit nei luoghi del terremoto è stato un successo. Eppure la bella figura dovrebbe far piacere anche all’opposizione: l’interesse nazionale viene prima dello spirito di partito

Sono da poco passate le tredici. Nella piazza d’armi della caserma di Coppito della Guardia di Finanza sono riuniti i Grandi del mondo. Si scopre una targa dove c’è scritto «L’Aquila bella, mai non po’ morire», poi un minuto di silenzio e un applauso liberatorio e beneaugurante. Non poteva concludersi meglio il vertice del G8. Non poteva essere premiata meglio la «follia» di convocare i leader dei maggiori Paesi della terra nel cuore del più grave disastro italiano degli ultimi anni. Ha detto Obama: «L’Aquila sarà ricostruita. La coraggiosa gente di questa città sarà sempre nei nostri cuori». Angela Merkel ha guardato le macerie di Onna e ha promesso di aiutare questo paesino oltre cinquant’anni fa martoriato dai nazisti.

Le first ladies hanno interrotto il loro viaggio romano e hanno visitato commosse e stupefatte le rovine. L’Aquila è stata per tre giorni al centro dell’attenzione mondiale e il governo ha preso un impegno per la ricostruzione con l’intera comunità nazionale.
Il summit ha fatto bene agli abruzzesi ed è stato un successo per l’Italia. Obama, che nei giorni scorsi aveva fatto smentire le critiche del New York Times all’organizzazione, non ha lasciato passare giorno senza elogiare l’Italia. Ieri in conclusione ha detto: «L’ospitalità italiana è stata straordinaria». José Zapatero, leader di un Paese che secondo il Guardian avrebbe dovuto sostituire l’Italia nel G8, ha detto: «Tutto ha funzionato molto bene, è stato fatto un buon lavoro». L’elogio non ha riguardato soltanto l’ospitalità. Ecco le parole di Gordon Brown: «Dobbiamo ringraziare Silvio Berlusconi per aver inserito temi come i mutamenti climatici e la sicurezza alimentare in questo G8». È andata talmente bene che qualcuno ha scritto: «Questo è il risultato vero che il nostro Paese, il governo Berlusconi e i futuri governi incassano al G8 e che l’Italia può riporre in cassaforte come un capitale». Non sono le parole di un apologeta, le ha scritte Vittorio Zucconi sulla Repubblica.

Qualcosa non ha funzionato o qualcosa ha funzionato? Dipende dai punti di vista. Qualcosa non ha funzionato per chi sperava nel peggio. Se si guarda dal punto di vista dell’orgoglio nazionale dobbiamo essere contenti. Berlusconi ha vinto la sua scommessa. Quando proclamò nei giorni terribili del dopo-terremoto che il G8 si sarebbe spostato qui, fra le macerie e le scosse quotidiane, molti lo presero per pazzo e, come al solito, esagerato. Sembrava un’avventura. Il G8 richiede un’organizzazione immensa, poi andavano messe in conto le contestazioni e poi, forse innanzitutto, andavano convinti i partecipanti. Nel giro di poche ore dissero tutti di sì. L’Aquila sarebbe stata una capitale mondiale, la solidarietà sarebbe stata universale. I Grandi si fidavano dell’Italia.

Il G8 metteva alla prova il «governo del fare». Altre prove erano già state superate. La «monnezza» a Napoli e gli aiuti ai terremotati scattati in poche ore. Ma sembrava un’impresa impossibile quella di portare qui i Grandi del mondo e dare dimostrazione di ospitalità e di efficienza. Senza lagne, senza stare con il cappello in mano. Un’Italia sofferente e efficiente. Qui si è innescato il tentativo di fare uno sgambetto al governo, di metterlo alla gogna ma di frantumare al tempo stesso la speranza italiana e degli aquilani. Nel giro di qualche settimana abbiamo assistito a un crescendo di improperi e di anatemi. L’Italia era diventata un Paese impresentabile di cui vergognarsi. I giornali, alcuni giornali, inglesi e americani erano in prima linea nel raccontare un’Italia alle corde e un governo non in grado di ospitare il summit. Alla vigilia del G8 addirittura la «bomba» dell’espulsione del nostro Paese dal consesso dei Grandi. Di Pietro nel pieno svolgimento del vertice ha preso in affitto una pagina dell’International Herald Tribune per chiedere aiuto per la democrazia italiana. Non si era mai vista una cosa così.

È dovuto intervenire, con la sua saggezza e il suo amor patrio, il presidente Napolitano per chiedere serietà e riflessione. Tuttavia l’attenzione di ogni giorno era rivolta ai titoli dei giornali ostili. Giravano le voci sul «colpo grosso» che avrebbe dovuto azzoppare definitivamente il premier. Molti ne erano certi: il berlusconismo è finito e sarà un vertice internazionale a certificarlo. Non è andata così, per fortuna. La bolla mediatica si è sgonfiata all’arrivo di Obama, di fronte alla passeggiata del premier con il presidente Usa per le strade dell’Aquila, dopo i documenti che il summit produceva sui maggiori temi della crisi internazionale.

Anche i non berlusconiani dovrebbero essere contenti. Figuratevi che cosa sarebbe successo se fosse andato come tanti strateghi di sciagura avevano previsto. Non solo una leadership politica colpita, ma un Paese in ginocchio. L’Aquila dimenticata. Le rovine del capoluogo abruzzese sarebbero persino apparse poca cosa di fronte alle macerie della politica italiana. Era questo che alcuni volevano che accadesse? Ci sono momenti in cui si coglie la differenza fra la legittima opposizione a un governo e la mancanza di spirito nazionale. Non c’entra niente l’autonomia della politica tanto meno la libertà di stampa. C’entrano quelle cose che sono nel Dna dei grandi Paesi e che qui troppo spesso vengono dimenticate. Se il summit dell’Aquila è stato un successo il merito è del governo e di Berlusconi. L’azzardo è stato premiato. La politica del fare di questo milanese testardo e esagerato è stata premiata. Dovremmo esserne tutti contenti, oggi. Domani rimettiamoci le nostre magliette politiche.

Io, da italiano, ragiono così.

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