Politica

Sistemi di sicurezza non attivati Così è evaso l’assassino albanese

Polemiche sull’allarme: non era stato collaudato. L’uomo è ancora in fuga

Clero Bertoldi

da Perugia

Lui, l'evaso, non si trova. L'ultima traccia l'ha lasciata a Vignaia, a pochi chilometri dal lago Trasimeno. Dove una donna l'ha visto correre a perdifiato in direzione di Magione. Erano le 16 di domenica pomeriggio. Tutte le altre, numerose, segnalazioni, sembrano poco credibili. Chissà dove è finito, ormai, Ilir Paja, 33 anni, l'albanese autore della clamorosa evasione dal carcere di Capanne, inaugurato nel luglio dello scorso anno dal ministro Castelli e indicato come un modello dei futuri carceri da costruire in Italia. Le battute con i cani e gli elicotteri sono state interrotte. Gli inquirenti le ritengono ormai inutili. Si passa alle attività di investigazione e di intelligence. Ma intanto Paja, ricercato dalla magistratura di Duisburg (Germania) per l'omicidio di un inglese, al quale dopo una discussione, ha scaricato una serie di colpi in pieno volto, chissà dove sarà finito. Gli investigatori non escludono che sia a Milano, dove, come a Perugia, gestiva la prostituzione di ragazze dell'est europeo. Ieri pomeriggio il sostituto procuratore Andrea Claudiani, che conduce l'inchiesta sull'evasione, ha effettuato un sopralluogo in carcere per ricostruire, con gli esperti, tutto il percorso fatto dall'evaso e per scoprire eventuali responsabilità dei controllori. Ma intanto i sindacati lanciano l'allarme. E rivolgono critiche al ministero di Giustizia e al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria. Secondo il Sappe i sistemi di allarme antiscavalcamento non sarebbero ancora funzionanti e il personale di guardia sarebbe, numericamente, scarso rispetto alle esigenze. «È stato segnalato a questa segreteria - sostiene il Sappe - che l'impianto non funziona in quanto non è stato ancora collaudato». Risulta anche, aggiunge Donato Capece, che la direzione «aveva più volte chiesto altri interventi strutturali e il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria avrebbe risposto che non erano necessari perché il muro di cinta era sufficientemente alto (sette metri)». Un altro elemento di critica sono gli organici. Nel carcere di Capanne, ritenuto di «media sicurezza» (non di massima sicurezza) sono ospitati, tra uomini e donne, quasi 400 detenuti. E gli agenti di polizia penitenziaria sono 200. «Sul perimetro del muro di cinta che è lungo un chilometro e mezzo sono installate - sottolinea il Sappe - sette garitte e nell'arco delle 24 ore bisognerebbe impiegare 60 agenti. Questo non è evidentemente possibile se si considera che, con 200 agenti, il direttore e il comandante debbono garantire la sicurezza di due istituti (il vecchio di piazza Partigiani e il nuovo di Capanne), più il centro clinico che necessità di 30 agenti, a fronte di una dozzina di detenuti ricoverati».

Per la Cgil-Fp il Centro clinico di piazza Partigiani dovrebbe essere immediatamente chiuso per recuperare gli uomini e utilizzarli per i servizi a Capanne.

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