Politica

Sognano il nuovo Marchionne, si ritrovano un vecchio sindaco

Trovato l’identikit del segretario ideale: un esperto di resurrezioni come l’ad Fiat Ma in giro è rimasto solo il "Chiampa": e il partito ora teme l’ennesima scissione

Walter Veltroni si è chiamato fuori ancora una volta, forse definitivamente. L’ex segretario si è stufato di veder rappresentato lo scontro nel Pd come l’eterna contrapposizione fra lui e D’Alema ed è anche amareggiato con molti compagni di partito, compresi i cosiddetti veltroniani. I suoi seguaci, infatti, si sono divisi fra quelli che si accingono a sostenere Franceschini e quelli che vanno a caccia del «terzo uomo». Così, irritato e avvilito, Veltroni ha deciso di chiudere la propria stagione congressuale prima del tempo. Una scelta difficile e persino drammatica che lascia presagire anche l’idea di un abbandono per impraticabilità del campo. È probabile che il ritiro dalla lotta sia l’estremo favore fatto al suo successore che con l’appoggio di Veltroni rischiava di veder inasprire il rapporto con i prodiani e di spingere alla battaglia senza tregua i dalemiani.
Il «mi tolgo di mezzo» di Walter è stato contemporaneo al «io ho già fatto un passo indietro» pronunciato da Franco Marini in una dichiarazione in cui invita tuttavia «a non ammazzare i vecchi». Anche Massimo D’Alema, pur lontano dall’idea del ritiro, è irritato per la piega che ha preso il dibattito congressuale e sta riflettendo se non gli convenga di più una partecipazione al congresso un po’ defilata per non diventare l’obiettivo dei «nuovisti». Singolare la posizione di Piero Fassino che ha dovuto incassare una specie di scissione nella sua piccola corrente, ostile ad appoggiare l’attuale segretario. Anche lui, tuttavia, non sarà un «king maker» del congresso. Fuori dalla partita si è già chiamato Romano Prodi e molti leader o mezzi leader del Pd cominciano a fiutare una brutta aria per chi occupa da tempo i posti di prima scena nella nomenklatura. Il congresso non è più una Champions League ma più tristemente una coppa Uefa.
La tensione nel Pd è giunta a un punto tale che i maggiori contendenti temono che si stiano restringendo gli spazi per una battaglia politica. I dalemiani paventano una nuova ondata «nuovista», gli antidalemiani la restaurazione del «vecchio». Ciascuno sospetta dell’altro schieramento. Veltroni a Repubblica ha detto che «da dieci anni sono stati divorati leader di livello, ad uno ad uno sono stati eliminati come dieci piccoli indiani». Ovviamente l’«assassino» è D’Alema. I dalemiani usano più o meno le stesse parole quando citano le frasi aggressive dei Tonini o dei Ceccanti o dei seguaci di Franceschini.
Lo scenario di un congresso liberato dalla presenza dei due maggiori contendenti, l’uno perché si è chiamato fuori, l’altro perché più defilato, non assicura tuttavia un andamento tranquillo. Gli eserciti sono già predisposti sul campo e se Beppe Fioroni conta le preferenze di David Sassoli, della Serracchiani o di altri parlamentari europei immaginando che queste preferenze possano diventare voti per Franceschini, lo stato maggiore di Bersani conta le truppe nelle regioni e nelle federazioni e si accorge, come abbiamo raccontato, di poter dominare la prima parte del congresso, quella che porta alla designazione delle candidature da sottoporre alle primarie.
Questi calcoli non sono però rassicuranti né per l’uno né per l’altro candidato. Decisivi sono i prossimi venti giorni, quelli che mancano alla presentazione ufficiale delle candidature. Oltre a Franceschini e Bersani scenderanno probabilmente in campo i rutelliani con Linda Lanzillotta, gli ecologisti con Realacci, forse il professor Ignazio Marino e Arturo Parisi. Ma l’incubo della coppia che si contende la segreteria del Pd è il «terzo uomo». Ne ha parlato ieri diffusamente sul Riformista Goffredo Bettini invocando un «Marchionne per il Pd». Nei giorni scorsi su questo giornale avevamo preannunciato che soprattutto nel partito del Nord cresce la richiesta di una personalità nuova che possa spezzare sia il duello di serie A, quello fra D’Alema e Veltroni, sia quello di serie B fra Franceschini e Bersani.
La ricerca del Marchionne o del «terzo uomo» sta infuocando le linee telefoniche e in particolare un’utenza. Quella di Sergio Chiamparino. Il sindaco di Torino ha il profilo giusto per scompaginare i giochi. È un amministratore serio, ha una cultura socialdemocratica con tratti liberal, è estraneo sia alle beghe romane sia alla disputa fra veltroniani e dalemiani, ha fama, meritata, di persona seria e concreta, piace a Calderoli e alla Marcegaglia. Spesso in questi giorni le telefonate cessano d’improvviso perché la batteria si consuma a furia di spiegare agli interlocutori la difficoltà di una discesa in campo. Negli ultimi giorni forti si sono fatte le pressioni di Marco Minniti, di Giovanna Melandri, di Morri e Tempestini a nome dei fassiniani, dello stesso Bettini che vede in lui il «Marchionne» che cerca, oltre che dei cosiddetti quarantenni. Veltroni non sarebbe ostile. Il pragmatismo di Massimo D’Alema lo porterebbe ad accettare. A certe condizioni. Queste.
La tentazione per Chiamparino è molto forte. Tuttavia il sindaco non ama pensare di dover lasciare anzitempo il suo mandato per la nuova avventura. Il rinvio del congresso avrebbe, e potrebbe ancora, dargli quell’anno di tempo per portare a termine il suo impegno con i torinesi. Disco rosso dunque per Chiamparino? Penso proprio di no. C’è uno scenario che molti sostenitori di Chiamparino fanno e che può realizzarsi. Lo scontro fra Franceschini e Bersani può inasprirsi senza che nessuno dei due riesca a prendersi un vantaggio molto forte. Le voci di dentro nel Pd dicono che difficilmente il grosso dei veltroniani resterebbe in un partito a forte dominanza dalemiana. Probabilmente in quel caso anche Veltroni potrebbe trasformare il suo «mi tiro indietro dal congresso» in un più secco: «Me ne vado». Dall’altra sponda i dalemiani, che in verità non temono la sconfitta, paventano un repulisti dei cosiddetti «vecchi» in caso di vittoria di Franceschini. Si fanno, cioè, scenari da incubo. Torna la parola «scissione». Temuta o minacciata. In un luglio-ottobre che molti si immaginano politicamente molto caldo, lo scontro fra i due candidati di serie B può creare le condizioni per favorire l’ascesa del «terzo uomo». A questo punto per Chiamparino sarebbe difficile sottrarsi alla chiamata. Il sindaco non vuole fare il terzo incomodo, ma se il partito si avviluppa su se stesso e lo chiama, lui è pronto ad accettare.

In fondo Marchionne prese la Fiat sull’orlo del baratro e il Pd è più o meno nella stessa situazione.

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