Controstorie

Il soldato e la ballerina Una storia d'amore e le bombe del Donbass

Spartaco è un ex parà italiano che combatte al fronte. Liza fa la sarta al teatro di Donetsk

Francesca Amé

C' è una guerra, a venti ore di macchina da casa nostra. Va avanti dalla primavera del 2014 nell'Ucraina orientale. È la guerra del Donbass e si gioca tra gli insorti, separatisti e filorussi, e gli anti separatisti, fedeli a Kiev. Ha finora fatto mille morti (ma per il governo ucraino sono il doppio) e sulle mappe ha visto nascere le autoproclamatesi Repubbliche di Donetsk e di Lugansk. Guerra lenta, di posizione: si combatte tutti i giorni nel cuore dell'Europa. In concreto significa che Donetsk, una metropoli da due milioni di abitanti seduta su miniere di carbone, con una buona università, uno stadio (chi mastica il calcio conosce bene lo Shakhtar Donetsk), ora è ridotta a una città spettrale da 60mila anime. Barcolla, ma non molla: il teatro dell'Opera, ad esempio, è aperto e funziona, con pubblico pagante e pronto ad applaudire per il bis.

Le Storie del Donbass che ci racconta per immagini il fotoreporter romano Giorgio Bianchi - alle spalle tanti lavori premiati e svolti in Siria, Burkina Faso e in altre zone di conflitto - hanno per scenografia anche il palco e la sala prove di questo teatro. Gli scatti che vedete in questa pagina sono una selezione del suo progetto ora in mostra al Festival della fotografia etica di Lodi (in corso nella città lombarda fino al 29 ottobre con mostre, workshop ed eventi: tutto il programma su www.festivaldellafotografiaetica.it): li abbiamo scelti perché raccontano in modo per nulla banale una storia d'amore, una di quelle che vale la pena ascoltare. Bianchi è riuscito a fissarla davanti all'obbiettivo perché da quattro anni va e viene dal Donbass: ha documentato le prime contestazioni, i passaggi più duri (compresi i proiettili governativi a un filo dal suo orecchio: è diventato una celebrità in Russia) e vissuto fianco fianco con i soldati volontari separatisti. Ed è in prima linea che ha conosciuto Spartaco.

Di lui possiamo dirvi che viene dalla provincia di Brescia, ha una quarantina d'anni, un passato remoto come parà nella Brigata Folgore, uno prossimo da single precario e arrabbiato con il nostro Paese. Da tre anni sta nel Donbass, ma non chiamatelo mercenario. «Per me è un eroe romantico», dice Bianchi. Cercava il suo posto nel mondo e l'ha trovato lì, in quella terra devastata dove è stato ferito quattro volte e poi pluridecorato: l'esperienza da veterano gli permetterebbe di passare molto più tempo in caserma, a insegnare ai giovani, ma lui è un combattente. C'entrano forse i soldi? Per nulla. Come ci conferma Bianchi, la busta paga di Spartaco - che sul social network VK, molto diffuso nei Paesi in cui si parla russo, conta parecchi ammiratori - arriva a malapena a duecento euro al mese, pochi persino in Donbass per pagarsi l'affitto di una casa decente e mettere qualcosa da parte per il futuro. Persino la divisa Spartaco l'ha comprata di tasca sua; ora vorrebbe un visore notturno e chissà quando riuscirà ad acquistarlo. Ma di tutto ciò non gli importa poi molto, come non gli importano le ore passate nel fango, al fronte, e il tempo libero ridotto all'osso. Che uomini si diventa, a vivere così?

Spartaco non sarebbe ciò che è - ci dice Giorgio Bianchi - senza la sua Liza. Poco più che trentenne, è una donna esile dagli occhi blu profondissimi, un marito fuggito in Russia dopo il conflitto e due ragazzini da crescere: sono Daniil, che sogna diventare un «alpaceno», un miliziano duro e puro come Spartaco, e la piccola Sonja, che invece studia danza classica e s'immagina già con i tutù che sua madre cuce per le ballerine, quelle vere, quelle brave, che si esibiscono la sera all'Opera della città. Liza, un papà pittore locale e una nonna da accudire, lavora da sempre come sarta al teatro di Donetsk: settemila rubli al mese (circa cento euro) che sono pochi, ma valgono la ricerca del bello in quella quotidianità ormai perduta. Mentre a pochi chilometri Spartaco combatte al fronte con improbabili kalashnikov degli anni Settanta, a teatro si danza. Si sono conosciuti su Facebook Spartaco e Liza, e subito si sono capiti nonostante nessuno parlasse la lingua dell'altro (ora Liza mastica, sì, un buon italiano). Hanno unito le loro solitudini e vivono insieme, in una casa alla periferia della città. Si vedono quando Spartaco lascia il fronte, i fucili, gli ordini dei superiori e torna a casa. Verranno mai in Italia? A nessuno dei due la cosa pare interessare: sono ormai anime del Donbass.

Spartaco, l'alpaceno italiano, duro e incorruttibile, ha sposato la causa separatista e non si fa troppe domande. Liza lo vorrebbe più spesso vicino: vivere sola, nell'attesa, è molto dura. Quando i bombardamenti diventano intensi, alcuni civili lasciano le loro case e se ne vanno in strutture apposite per sfollati istituite dal governo separatista.

Liza no, lei aspetta paziente il suo soldato: sa che Spartaco tornerà a casa.

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