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Il soldato Fini salvato dai giudici

Il gip archivia il caso Montecarlo: Fini ha favorito il cognato ma è stato prosciolto. D’Alema e Scajola, per casi simili, hanno mollato immobili e poltrone. Lui resterà al suo posto e dirà che ha vinto

Il soldato Fini salvato dai giudici

Per il Gip di Roma la vicenda della casa di Montecarlo non costitui­sce reato penale. Semmai sarà la giustizia civile a doversene occu­pare. Cosa che sicuramente avverrà per­ché diversi militanti ex An hanno già an­n­unciato di voler imboccare anche que­sta strada per essere risarciti di quello che ritengono un danno subito da Gian­franco Fini. La vicenda è quella nota: un appartamento lasciato in eredità ad An finito a un prezzo due terzi più basso di quello di mercato al cognato di Fini do­po essere transitato per due società off shore.

Nonostante i silenzi omertosi e le smentite imbarazzate, il Giornale rico­struì la scorsa estate il caso in tutti i suoi dettagli. Nomi, cifre, dati e fatti hanno trovato piena conferma anche nell’in­chiesta dei pm romani. I quali peraltro non hanno sentito la necessità, cosa ap­parentemente strana, di interrogare i due protagonisti della vicenda, cioè il presidente della Camera e il cognato Giancarlo Tulliani. Per tutti questi mesi la magistratura ha tenuto un comporta­mento di grande riguardo nei confronti di Fini, comunicando per esempio la no­tizia della sua iscrizione nel registro de­gli indagati contemporaneamente alla richiesta di assoluzione.

Ce ne fossero di toghe così un po’ ovunque, che ne so, magari a Milano o a Napoli, per dire di due procure che somi­gliano, in quanto a riservatezza, a un co­­labrodo, soprattutto se di mezzo c’è Sil­vio Berlusconi o qualche uomo a lui lega­to. E fosse sempre così il rispetto, direi il distacco, della stampa che sul caso Mon­tecarlo non si può dire abbia scatenato i suoi cronisti di punta a caccia di verità. Anzi, se sforzo c’è stato è andato in dire­zione opposta, insinuando il dubbio che il presidente Fini fosse vittima di una campagna di fango. Ora sappiamo che si parlava di fatti e non di veleni, e che questi, secondo il Gip, non costituiscono reato perché c’è una norma in base alla quale i partiti sono equiparati a istituti privati e come tali, penalmente parlando, liberi di disporre del proprio patrimonio come meglio credono.

Cosa che farà felice il cognato di Fini, non i militanti di An che, per usare un eufemismo, si sentono traditi e presi in giro. Politicamente (per la giustizia civile lo vedremo presto) il caso resta in piedi in tutta la sua imbarazzante verità. Fini non ha commesso reato penale, come D’Alema quando abitava in una casa pubblica pagando un canone ridicolo, come Scajola e il pasticcio della casa vista Colosseo pagata non si sa bene da chi. C’è però una differenza tra i tre casi. D’Alema, beccato in fallo, ha mollato l’appartamento. Scajola, beccato in situazione sospetta, si è dimesso da ministro. Fini invece continua come se nulla fosse, nonostante avesse annunciato dimissioni nel caso fosse stato accertato non un reato ma la proprietà del cognato.

Il segreto è stato svelato, addirittura certificato da un governo sovrano, quello di Santa Lucia dove hanno sede le due off shore, e ufficialmente comunicato al nostro Parlamento dal ministro degli Esteri, Franco Frattini. Niente, Fini non vuole saperne di essere di parola, neppure di fare il gesto di restituire alla sua gente quella casa che invece resta, per quel che ne sappiamo, nella disponibilità del giovane Tulliani. Ora avrà anche la sfacciataggine di dire che ha vinto lui, come se l’eticapolitica da lui tanto sbandierata come elemento fondante del suo Fli fosse una gara in punta di codice penale. Si tenga pure la casa, il cognato, la poltrona e i suoi spergiuri.

Lo abbiamo misurato, non andrà lontano.

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