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Solidarietà: il tesoro della Onlus delle truffe

Assistenza e cure fantasma a centinaia di disabili. Con questo sistema l’associazione Anni Verdi otteneva contributi pubblici e li usava per creare società che trattavano auto di lusso, ville e gioielli. Falsi rimborsi: il raggiro da 400 euro dei volontari globe trotter

Solidarietà: il tesoro della Onlus delle truffe

Era una delle più grandi Onlus che nel Lazio si occupavano di disabili: ne ha assistiti fino a 1.500. Disponeva di 12 strutture residenziali e non, sparse tra Roma, il litorale di Santa Marinella e i colli di Subiaco. Dava lavoro a oltre 500 dipendenti. Operava dal 1964 come centro di ricerca, riabilitazione e assistenza per handicappati fisici e psichici e persone affette da malattie neurologiche. Aveva ottenuto la qualifica di ente morale e la convenzione con la Regione Lazio. Questo colosso dell’assistenza è crollato nel 2006, sotto il peso di un crac finanziario e di un’inchiesta della magistratura. «Anni Verdi» si chiamava l’associazione romana, presieduta dal commercialista Mauro Lancellotti che tutti chiamavano avvocato senza che del suo nome vi fosse traccia negli elenchi dell’Ordine.

Lancellotti e altre sette persone (medici, dirigenti amministrativi, oltre alla sorella e alla compagna dell’«avvocato») finirono agli arresti domiciliari nel settembre 2006 mentre stavano per ricevere dalla Regione un assegno di 90 milioni di euro. Somme arretrate che Anni Verdi attendeva da tempo, protestava Lancellotti. In realtà quei soldi, secondo la procura della Repubblica di Velletri che coordinò le indagini compiute dai carabinieri del Nas, andavano a coprire ammanchi provocati da una gestione fraudolenta che speculava sulla pelle di migliaia di famiglie già provate dalla vita.
Fatture false per ottenere rimborsi gonfiati, prestazioni mediche mai effettuate, strutture non autorizzate, pazienti abbandonati senza assistenza: ecco che cosa avevano rilevato due anni di indagini. I primi problemi erano apparsi da tempo. Già dieci anni prima i dipendenti denunciavano ritardi di mesi nel pagamento degli stipendi, qualità scadente dell’assistenza prestata, trasferimenti o licenziamenti indiscriminati. Per incassare più soldi dalla sanità pubblica, disse la Cgil, era stato raddoppiato il numero di pazienti ospitati in alcune strutture e dimezzato il tempo dei trattamenti riabilitativi.

«Col tempo i dirigenti dell’associazione avevano aumentato la pressione sul personale e sui disabili», racconta oggi l’avvocato Nicola Sanitate, legale delle famiglie che si erano rivolte ad Anni Verdi credendo di ottenere assistenza specialistica di alto livello che le strutture pubbliche non riuscivano a garantire. «Li usavano come strumenti per costringere la Regione a concedere sempre più soldi. Erano arrivati a minacciare le dimissioni di decine di pazienti e il licenziamento di parte del personale».
Il rischio che i disabili dovessero tornare a casa aveva portato ad aprire una lunga trattativa con la Regione e il prefetto (allora era Achille Serra). «Quando l’accordo era solo da firmare - ricorda Vittorio Casasanta, presidente dell’associazione degli ex assistiti da Anni Verdi - Lancellotti si rifiutò di firmare e sciolse l’ente morale. Il prefetto dovette requisire le strutture di assistenza e nominare un commissario». La chiusura fu evitata, ma non il crac. Perché due mesi dopo scattarono i provvedimenti della magistratura.

L’ordinanza di custodia cautelare riferiva di ispezioni dei Nas da cui risultava che «i pazienti erano assistiti da personale privo di qualifiche». Che era stato «posto in essere un sistema per la creazione di denaro sfruttando collusioni con la Regione». Il centro di riabilitazione di Lavinio era abusivo ma «ha fruttato agli indagati circa un milione di euro»: denaro versato dalla Regione per 25 degenti che in realtà erano in carico ad altre strutture e quindi non avevano usufruito delle prestazioni sanitarie indicate dai medici. Dal conto corrente della Onlus erano stati trasferiti 250mila euro direttamente al conto personale del presidente.
E la Regione si apprestava a versare altri 90 milioni di euro in base a una sentenza del Consiglio di Stato che però l’assessore Augusto Battaglia si rifiutava di erogare avendo accertato che Anni Verdi non offriva standard assistenziali adeguati. «In dieci anni sono morti quattro pazienti - dice l’avvocato Sanitate - uno dei quali era annegato a Santa Marinella e un altro, un giovane tetraplegico e ritardato mentale, era rimasto soffocato dalle sbarre del letto nel quale dormiva».

Saltò fuori che a Lancellotti era riconducibile un piccolo impero imprenditoriale. «Lo conobbi che girava in 500 con la marmitta bucata», è l’immagine di Casasanta. Parallelamente all’attività benefica, l’«avvocato» aveva messo in piedi società per vendere auto di lusso, commerciare oggetti preziosi, pubblicare libri e riviste (Minotauro editore), oltre a imprese edili e agenzie immobiliari. In quasi tutte era presente anche la sorella, tra le responsabili di Anni Verdi, pure lei finita ai domiciliari. Lancellotti appariva poi nel collegio sindacale di due ditte specializzate nella fornitura di servizi sanitari. Il sospetto era che la Onlus acquisisse beni, servizi e forniture dalle aziende riconducibili all’«avvocato». E che personale impiegato in altre attività figurasse alle dipendenze dell’ente assistenziale e venisse stipendiato dalla sanità pubblica.
La detenzione domiciliare per gli otto responsabili della Anni Verdi è durata 20 giorni, finché un’ordinanza del tribunale del riesame ha sancito che le esigenze cautelari non erano giustificate. Ma la liquidazione della Onlus è proseguita, con un commissario (l’avvocato Paolo Mereu) nominato dal presidente del tribunale di Roma. La vendita dei beni immobili è ancora in corso.

Le attività assistenziali sono state rilevate da nuove Onlus, che tirano avanti tra mille difficoltà.

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