Cultura e Spettacoli

"Solo Bach salverà il mondo È un vero rivoluzionario"

Il grande pianista iraniano in concerto stasera a Milano: "Porto la mia ossessione di fronte al pubblico. È uno dei pilastri della bellezza mondiale, ed è per tutti"

"Solo Bach salverà il mondo È un vero rivoluzionario"

«Questa sera riporterò la mia mania bachiana di fronte al pubblico». Per Ramin Bahrami, musicista e pianista nato a Teheran nel 1976, fuggito in Italia all'età di dodici anni (il padre fu arrestato dagli ayatollah come «oppositore» e morì in carcere nel 1991), Bach è una religione. «Un'ossessione vitale». E questa sera la riproporrà con il suo concerto al Teatro Franco Parenti di Milano («la mia città d'adozione»), nella serata della Milanesiana che vede protagonisti anche il Nobel Wole Soyinka e Dacia Maraini.

Perché Bach?

«Ogni musica di Bach è un atto di civiltà da portare in questo mondo in miseria, a pezzi, in questa società di robot insignificanti. Fare musica è un atto di coraggio, specialmente quella di un signore vissuto trecento anni fa».

Chi è Bach?

«L'Aristotele e il Platone della musica occidentale, orientale, russa, africana... È atemporale e ageografico, andava bene trecento anni fa, va bene oggi, andrà bene fra mille anni. Siamo noi accecati dallo spread e da queste cazzate».

È così negativo?

«Tutto da buttare a mare. Però, come disse Beethoven, giocando sulla parola “Bach”, che in tedesco significa ruscello: “Si dovrebbe chiamare mare, non ruscello”».

Quindi è tutto da buttare a Bach?

«È la prova più certa dell'esistenza di qualcosa di superiore all'uomo. Questa sera suonerò la prima partita o Suite italiana, poi la quinta Suite francese e, infine, il Concerto italiano di Bach, il più bell'inno italiano. Più del Va' pensiero e di quello di Mameli».

Dopo l'estate uscirà anche un suo nuovo libro.

«Sì, è il terzo e lo pubblicherò con Bompiani. Il protagonista è Bach, che parla ai bambini, ai giovani, alle mamme, ai padri, a tutti noi».

E che cosa dice?

«Beh, si lamenta, è arrabbiato. Però ci guarda dalla sua altitudine... Sa, lei può togliere il sessanta per cento delle musiche scritte, ma se toglie Bach toglie la musica: è uno dei pilastri della bellezza mondiale. E la bellezza è di tutti, non esiste una musica d'élite».

Cioè tutti lo possono capire?

«Se una cosa estremamente bella non viene capita è colpa di chi la interpreta, o fa finta di capirla».

E quando l'interpretazione è giusta?

«Quando commuove».

Com'è nato l'amore per Bach?

«Avevo cinque anni e mezzo. Sentii un Lp meraviglioso, dorato e nero, di un grandissimo fenomeno della musica, Glenn Gould: eseguiva la toccata della Partita numero 6, uno dei testi più struggenti, languidi e arabeggianti di Bach, in maniera grandiosa».

Era ancora a Teheran?

«Sì, lo portò una cara amica di famiglia da Parigi. Io fui così toccato nell'intimo, che quasi persi conoscenza. Mi dissi: “Vai a casa e prova a fare quell'arpeggio”. E lì decisi che dovevo diventare un musicista e un comunicatore».

Ma la musica non era vietata?

«All'inizio era tutta vietata, anche quella classica. Ma in casa, e nella nostra testa, non potevano vietare niente... Comunque a un certo punto, nella loro mente malata gli ayatollah hanno deciso che Michael Jackson e Boy George fossero più pericolosi di Bach, Beethoven e Brahms».

Chissà perché.

«E chi lo sa. Io fra l'altro amo certe canzoni di Michael Jackson, adoro Elvis, Sinatra, ascolto Lady Gaga, Madonna, Liza Minnelli, Mina. Certe canzonette hanno una melodia bellissima: la melodia non è morta, lo sono i nostri cervelli».

Perché, come ha intitolato un suo libro, Bach le ha «salvato la vita»?

«Perché ti dà certezze: ti fa capire che cosa è giusto e sbagliato».

La sua opera preferita?

«Tutte e duemila. È un rivoluzionario».

Chi è un rivoluzionario nella musica?

«Uno che osa, va controcorrente, e smette di essere schiavo delle regole. Se oggi Bach facesse un esame di contrappunto o di fuga in un conservatorietto italiano o francese sarebbe bocciato. Come lo fu Verdi, all'esame di ammissione al Conservatorio di Milano, che oggi porta il suo nome».

Perché Bach piace anche ai giovani?

«Sono abituati alla musicaccia della disco, che però ha una base ritmica solida: forse per questo riescono a riconoscere la grande invenzione ritmica di Bach. Tant'è vero che ha ispirato molti jazzisti».

Suonerà anche a Umbria jazz, vero?

«Sì, il 12 luglio, con Danilo Rea, che per me è il più raffinato jazzista italiano. Il concerto si chiamerà “In Bach”, con un repertorio mai eseguito».

L'esibizione più emozionante?

«Alla Scala e a Berlino. E poi a Lagoscuro, a tremila metri sulle rocce. Il mio pianoforte fu trasportato da un elicottero.

Ho suonato due Suite inglesi e due Suite francesi per quasi settanta minuti, di fronte a 400 persone arrivate a piedi, dalle cinque mattino».

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