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La somministrazione compie vent'anni

Il settore fa da volano della ripresa. E 7 addetti su 10 trovano un impiego

Raffaella Malito

Venti sono le candeline spente dal lavoro interinale, nato con il pacchetto Treu nel 1997 e poi ribattezzato «lavoro in somministrazione» con la legge Biagi. A fare un bilancio sono stati Tiziano Treu, presidente del Cnel e Stefano Sacchi, presidente di Inapp nel Rapporto «I primi 20 anni del lavoro in somministrazione in Italia», presentato al convegno organizzato da Assosomm (l'Associazione italiana delle agenzie per il lavoro) e The European House-Ambrosetti. E da buon padre Treu ha visto la sua creatura diventare «grande». Tanto Sacchi quanto l'ex ministro del Lavoro hanno più volte ribadito, nel corso dell'evento che si è svolto il 27 giugno a Roma nella sede dell'Inapp (Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche), che non ha mutato solo nome, il lavoro interinale ha cambiato anche pelle.

Le agenzie da fornitori di contratti interstiziali e di nicchia - soprattutto per i giovani che entravano nel mercato - si sono sempre più imposti come soggetti generali di politica attiva del lavoro. Con contratti veri e propri. Negli ultimi anni la somministrazione ha visto aumentare la quota dei lavoratori nelle fasce di età più alte. Gli ultraquarantenni sono passati dal 20% al 33%, gli over 50 sono raddoppiati, dal 5 all'11%. Sono diminuiti, sul totale, del 10% i lavoratori con meno di 30 anni. Si tratta anche di uno strumento di integrazione sociale: 2 lavoratori su 10 sono stranieri, rispetto a una media di 1 su 10 nell'occupazione in generale.

La ricerca evidenzia anche la funzione di accompagnamento al lavoro (a 48 mesi dall'attività di lavoro svolta in somministrazione il 71% dei lavoratori risulta impiegato) e di rafforzamento delle competenze (quasi il 40% ottiene attività formative contro il 6,5% della generalità degli occupati). Nello scorso anno sono stati erogati più di 33mila corsi indirizzati a oltre 230mila lavoratori per un impegno finanziario di quasi 179 milioni di euro. Nel corso del 2016, in totale, sono stati 615mila i lavoratori in somministrazione in Italia pari al 3,5% dell'occupazione complessiva. Un trend di crescita positivo dopo il rallentamento subito negli anni della crisi. Il dato presenta notevoli disomogeneità territoriali, si passa dal 4,7% del Nord al 2,7% del Centro e all'1,8% del Meridione.

La bassa penetrazione nel Mezzogiorno si spiega anche con la maggiore concorrenza sleale del lavoro irregolare. Questa tipologia di lavoro continua in gran parte a essere utilizzata nel settore manifatturiero (48%) anche se si registra, dopo la crisi, un aumento della quota di imprese di servizi e informatica. Nel 2016, il lavoratore in somministrazione è in prevalenza un operaio (73%) maschio (61%) con meno di 35 anni (54%) e a tempo determinato (91%).

A strappare l'applauso della platea tra i sindacati presenti è stato Gianluigi Petteni, segretario confederale Cisl, quando ha definito «ignorante chi parla di precarietà» a proposito di questa innovazione contrattuale: «Si tratta di flessibilità». «Noi non offriamo un lavoro precario - ha ribadito il presidente di Assosomm Rosario Rasizza - ma un lavoro tutelato che rispetti il contratto nazionale». Secondo il ministro del Lavoro Giuliano Poletti «gli esiti sono buoni perché c'è stato un adeguamento delle norme, che hanno dimostrato di essere in grado di tutelare adeguatamente i lavoratori e di essere una buona risposta alle esigenze delle imprese».

Il ministro ha aggiunto che «stiamo guardando avanti e immaginiamo che le agenzie possano essere dei soggetti protagonisti nella nuova fase delle politiche attive, della costruzione di strumenti che aiutino i lavoratori nella transizione legata all'innovazione».

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