Roma

Soriano nel Cimino, i turisti restano di... sasso

Soriano nel Cimino, i turisti restano di... sasso

Renato Mastronardi

La spettacolosa faggeta che ricopre la parte più alta del Monte Cimino ha fatto di Soriano una delle residenze più appetite degli antiche romani e dei più moderni forestieri. La coronano, arrampicandosi attorno, le cime minori di Roccaltia, Turello, Sant’Antonio e Poggio Orlando. Siamo a 17 chilometri da Viterbo, sulla via Cassia. E, già poco lontano dal paese, l’attenzione del turista resta sorpresa dal «sasso mancante» o «natichello», che è un enorme macigno che si regge in bilico su una stretta base d’appoggio: è un tale miracolo della natura che un semplice bastone, usato come leva, basta a farlo oscillare sensibilmente. Si tratta di un fenomeno naturalistico che aggiunge ancor più fascino al miracolo paesaggistico di Soriano nel Cimino. Le cui origini storiche sono testimoniate dai resti di insediamenti preistorici ed etruschi. Da quest’ultimi anche le ragioni del toponimo: Murrina. Ma nel Medioevo Soriano fu anche chiamato Sutanum, Castrum Seriani e Surano. Ancora oggi il borgo medioevale è dominato dallo sagoma poderosa del Castello degli Orsini. Nei secoli successivi, anche se lo Stato pontificio mai ammise di interferire con la storia del piccolo paese, il territorio e il comune subirono le prepotenze di truppe mercenarie bretoni; la tirannia di Giacomo di Vico, prefetto di Vetralla, fino al ritorno ai piedi del Trono di San Pietro. Poi si alternarono per il possesso del feudo oscuri intrighi, crudeli imboscate e feroci repressioni. Tutto questo fino a quando, protetti dalla tiara pontificia, si avvicendarono sullo scanno feudale i Della Rovere, i Carafa, gli Altemps e gli Albani. E furono i Chigi, nel 1848, a riconsegnarlo nelle mani dello Stato Pontificio.
Da vedere. Il monumento più rappresentativo è la Rocca degli Orsini, innalzata nel secolo XIII. L’enorme edificio fu appena ingentilito da finestre ad arcate del ’600 e del ’700. Più aggraziato nelle sue forme architettoniche è il Palazzo dei Chigi-Albani con la splendida fontana di Paracqua che abbellisce la terrazza ed è composta da tutta una serie di bassorilievi che ripetono, in forma stilisticamente pregevole, personaggi biblici e mitologici. Di notevole interesse è anche la Collegiata di san Nicola che si rifà a stilemi neoclassici. All’interno conserva una statua gotica di Sant'Antonio Abate e un trittico quattrocentesco con il Salvatore e i Santi. Un’altra bellissima tela si conserva nella chiesa della Santissima Trinità. Si tratta di una Madonna col Bambino del ’500. Risalgono, invece, al Settecento un busto in argento di Sant’Eutizio e una immagine di Madonna e un crocifisso ligneo.
Da mangiare e da bere. Il sottobosco della straordinaria faggeta è una favolosa e nutrita collezione di varietà di funghi come il porcino, il galletto, il prataiolo, l’ovulo e la palombella. Tutti pronti a essere serviti a settembre. Per il resto dell’anno è possibile assaggiare la palma alle stratte, lasagne e cannelloni conditi col tartufo e funghi porcini. Né mancano la pezzata (antipasto locale) e l’acquacotta. Tra i secondi spiccano la bistecca alla brace, l’agnello a scottadito, il coniglio in salmì ed il favoloso cinghiale alla cacciatora.

I vini sono quelli tipici dell’Alto Lazio: l’aleatico di Gradioli e il classicissimo Est! Est!! Est!!! di Montefiascone.

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