Stile

Un sorso di storia e futuro La rivoluzione di Macallan

Dubbi dei nostalgici sulla svolta hi-tech. Ma il dna del marchio resiste nella natura e nel profumo. E nell'arte di fare Scotch

Marco Zucchetti

nostro inviato a Rothes (Scozia)

Da sotto il ciuffo, le mucche delle Highlands sembrano le uniche indifferenti. Pascolano serafiche, fotografate dai visitatori sui suv, ignare di trovarsi nel centro di una supernova fra passato e futuro. D'altronde loro sono di casa nello Speyside. Nel '700, i mercanti di bestiame facevano sosta qui, perché nelle fattorie su queste terre si produceva un'ottima uisge beatha. Whisky, per chi mastica il gaelico.

Tre secoli dopo, il distillato di malto è un business che frutta alla Scozia 4,7 miliardi di sterline di esportazioni l'anno. E su quelle stesse terre sorge oggi il regno di Macallan, il single malt più riverito al mondo, Graal di ogni collezionista da Singapore a Milano, icona di lusso e - da un anno - protagonista della «più grande rivoluzione nella storia dello Scotch», che sta dividendo gli appassionati.

Succede sempre così, quando qualcuno alza improvvisamente l'asticella della modernità. E la nuova distilleria, aperta nel giugno 2018, l'ha praticamente fatta saltare. Un progetto da 140 milioni di sterline ideato dal direttore creativo Ken Grier e realizzato dallo studio di architettura Rogers Stirk Harbour; 50mila tonnellate invisibili di cemento, 2.500 triangoli di legno, energia rinnovabile, cinque collinette artificiali che la fanno sembrare un dragone addormentato. Abbastanza per mandare in sollucchero i turisti e per mandare in tilt i più conservatori fra gli appassionati, nostalgici di una Scozia che fu, con la sua magia di magazzini oscuri e operai rugosi.

La curiosità dunque, arrivando dal paesaggio contadino e rilassante di Rothes, è capire se la novità è così dirompente. E se lo spirito di Macallan ancora vive qui. Le sensazioni, appena varcato il cancello di ferro battuto della tenuta, sono divergenti. Nell'aria si annusa il familiare profumo di mosto d'orzo fermentato. Ma la linea sinuosa della distilleria lascia a bocca aperta, sembra di entrare nel mondo dei Teletubbies. Purtroppo alcune zolle di prato che ricoprono le cinque «gobbe» sono secche: «L'estate è stata torrida. Dovremo ripiantarle. Ora sembra un signore calvo ma con le sopracciglia folte», scherza una guida, indicando l'erba che cresce rigogliosa e verde tutto intorno.

Appena più su, ecco i nuovi dodici magazzini di invecchiamento e gli hangar di stoccaggio e riempimento delle 7mila botti vuote e dei tank, che i camion portano a Glasgow sulla A9, la «whisky road». L'impatto ambientale è un po' feroce, ma gli ecologi ingaggiati dal gruppo Edrington proprietario del marchio hanno piantato un boschetto che in capo a qualche anno lo attenuerà. Occorre avere pazienza, come con l'erba. E col whisky.

D'altronde Macallan ha impiegato quasi due secoli per diventare il marchio in grado di battere ogni record all'asta (848.750 sterline per una bottiglia). Ricordi custoditi fra i rododendri e i servizi da tè di Easter Elchies House, la «dimora spirituale» di Macallan, la cui sagoma è su ogni etichetta. È da questo palazzotto, costruito nel Settecento dal capitano John Grant, che inizia la visita, organizzata nel primo anniversario della nuova apertura per il lancio di «Macallan Estate»: un whisky prodotto con orzo coltivato in loco e che nell'idea della master distiller Sarah Burgess rappresenta l'anima della tenuta di 485 acri che si estende intorno alla distilleria.

Così, prima di addentrarsi nel futuro hi-tech, è una pace passeggiare fra i campi e i boschi che scendono fino alle rive dello Spey (Macallan è l'unica distilleria con una riserva di pesca e si occupa anche del ripopolamento dei salmoni). E già si intuisce che innovare non è per forza sinonimo di rompere. «Times do move», spiega una delle decane della distilleria. «Era affascinante quando i barili erano riempiti a mano e fatti rotolare. Ma se chiedete agli operai, forse preferiscono i nastri trasportatori di oggi».

Il tour prosegue fra i vecchi magazzini delle botti più venerande e rare, dove è vietato entrare perfino ai dipendenti, e l'impianto di compostaggio, la «Woodland» dove le querce portano i nomi dei clienti e i cinque pozzi da cui si estrae l'acqua dolce. E finalmente si ritorna al futuro, al Gran Teatro del whisky. L'ingresso è scenografico, una grandeur minimale, senza cadute di stile. Nessuno da fuori immaginerebbe spazi così ampi, quasi un museo d'arte contemporanea. Musica classica di sottofondo, lo shop e una parete di vetro che fa da biblioteca liquida: 840 bottiglie storiche, dall'Ottocento all'ultimo decanter di 72 anni. C'è anche il mitico 7 anni Giovinetti creato per l'Italia negli anni 80, quello dello spot animato con il barile che se la ronfava. Un caffè alla brasserie, poi si sale al whisky bar: 952 assaggi con vista panoramica sul Benrinnes e sulla vallata.

Dietro, si apre la distilleria vera e propria. Pulitissima, ordinata, forse perfino troppo silenziosa, non si vede nessuno al lavoro. Legno, acciaio, rame e un gioco di luci azzurre, rosa e rosse. L'enorme mash tun, i tini d'acciaio per la lunga fermentazione e i 36 alambicchi ricostruiti dagli specialisti di Forsyths: stanno in gruppi circolari di 12, come amici che se la raccontano. Repliche perfette degli alambicchi storici, tra i più piccoli di Scozia, per fornire uno spirito oleoso e di grande spessore aromatico.

L'altro segreto di Macallan è il legno, di cui un video spiega la selezione scientifica. Qui il budget per l'acquisto di pregiate botti di sherry è dieci volte più alto della media: si sono pure comprati alcune bodegas andaluse. Poi il microcosmo Macallan regala l'ultima chicca: un'impressionante cantina privata, dove tenere degustazioni circondati da barili sospesi nel vuoto.

Alla fine, si capisce perché un approccio così moderno possa sconvolgere. Non è diverso dal dibattito sugli stadi: la memoria un po' vetusta di San Siro e Wembley o impianti più efficienti? Il crinale fra storia e realismo è ripido, ognuno sceglie la sua via. «Siamo sempre stati pionieri spiega Sarah Burgess, la whisky maker -: con la pubblicità, con l'uso di legni pregiati e ora con questa rivoluzione. Macallan è qui da duecento anni, dobbiamo pensare al futuro». Con il boom di richiesta, la produzione di 15 milioni di litri (386mila i barili che riposano nei 54 magazzini in loco) sarà necessaria. Pensare di affrontarla in un'isola di passato senza tecnologia e senza turismo è impensabile.

Ci saranno distillerie più tradizionali in Scozia. Ma chi cerca lo spirito di Macallan lo trova ancora qui. È negli stessi alambicchi, negli stessi barili, nello stesso modo di produrre senza coloranti.

Macallan è un artigiano che ha fatto fortuna: finché difenderà le sue radici, la sua arte non cambierà.

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