Cultura e Spettacoli

"Ecco il vero Nerone, poeta senza colpa"

L'attore porta in scena da giovedì, al Manzoni di Milano, la sua interpretazione dell'imperatore

"Ecco il vero Nerone, poeta senza colpa"

«Non appena ho letto lo splendido saggio critico di Latour Saint-Ybars sul tragico regno di Nerone, questo maledetto senza colpa cui è stata attribuita una psicologia d'accatto e la più ambigua delle documentazioni che ancora, non si sa come, trovano ampio credito presso gli studiosi, tutti concordi nell'attribuirgli una natura spietata, sono stato preso da un brivido d'indignazione. Possibile che il tragico imperatore non sia stato vittima di una inaudita vessazione?, mi sono chiesto. E ciò che ho scoperto mi ha dato finalmente ragione». Edoardo Sylos Labini è indignato.

«Mi sono persino domandato se il saggio di questo accademico di Francia fosse o non fosse in buona fede. Ma per fortuna, a confermarmi nell'opinione che Lucio Nerone sia stato vittima di un'atroce manipolazione ai suoi danni, mi sono imbattuto nel bel saggio di un autore come Massimo Fini che ha rimesso finalmente le cose a posto sulla vera natura del figlio di Agrippina», spiega Sylos Labini in una franca risata.

Per questo motivo, allora, ha deciso di riabilitare Nerone ponendolo al centro del suo nuovo spettacolo, Nerone, duemila anni di calunnie , in scena al Teatro Manzoni di Milano da giovedì al 19 ottobre?
«Evidentemente è il mio destino tuffarmi a capofitto nei protagonisti della nostra storia passata e presente per far luce su coloro che a torto o a ragione sono stati letti, esaminati e considerati secondo un'ottica parziale o, nel peggiore dei casi, discutibile se non addirittura perversa. Per ora le posso solo dire che la sera di giovedì sul palco del teatro Manzoni di Milano vedrà coi suoi occhi e sentirà con le sue orecchie il torto che è stato fatto a un personaggio che voleva sì riformare il mondo, ma solo alla luce eterna della poesia».

Vuol dirmi che legame ha trovato tra Nerone da una parte e un visitatore dell'infinito come Balbo da un lato e Gabriele D'Annunzio dall'altro che sono stati al centro solo ieri delle sue indagini di palcoscenico?
«È molto semplice. Basta pensare a queste straordinarie personalità senza pregiudizi e soprattutto senza condizionamenti. D'Annunzio fedele alla totalità del suo ego e della sua straordinaria aspirazione a rifondare il nostro paese sotto la luce della poesia, quando si è trovato alle prese con responsabilità di governo, come accadde nel Carnaro, non ha fatto che proclamare editti, leggi, codicilli a favore dell'assoluta emancipazione del singolo da qualsiasi schiavitù repressiva. Salvaguardando sia la libertà sessuale che i diritti della donna. Mentre il discusso Italo Balbo, poeta dell'esplorazione dell'universo, ha cercato di congiungere il cielo alla terra nelle sue magnifiche trasvolate».

D'accordo. Ma... e Nerone?
«L'imperatore era e rimane una figura tragica. Un filosofo che voleva instaurare con la sua elezione al soglio il regno della cultura che gli fu impedito per colpa di una madre snaturata e assassina che l'aveva generato al solo scopo di impadronirsi del potere».

Può spiegarsi meglio?
«Nello spettacolo di cui sono regista, interprete e coautore con Angelo Crespi cui devo moltissimo, vedrete un uomo solo in lotta non tanto coi giganti spietati della cosa pubblica, ma con una genitrice che pur di esercitare nei suoi confronti un vero e proprio dominio non esitò a concederglisi sessualmente al fine di eliminare qualsiasi presenza femminile in grado di assecondarlo altrimenti. Tanto da provocare da parte del figlio l'ordine di sopprimerla. Come a suo tempo Agrippina stessa si adoperò per uccidere un innocente come Britannico, l'autentico successore al trono dei Cesari.

Non le basta?».

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