Cultura e Spettacoli

La fine di Bin Laden: l'incubo dell'America scacciato da una donna

La pellicola della Bigelow racconta il ruolo fondamentale di un'agente della Cia nella cattura di Osama

Il terrorista di Al Qaida Bin Laden
Il terrorista di Al Qaida Bin Laden

Noi qui a guardare soliti idioti e cinepanettoni: è Natale. Loro, sotto l'abete a contendersi l'Oscar con la storia americana più recente, bruciante, divisoria. Che affascina e incassa, convince e separa. Dopo Argo, di e con Ben Affleck, che si fa perdonare la bellezza con la bravura, raccontando il terrorismo iraniano anni Settanta, arriva Zero Dark Thirty del premio Oscar Kathryn Bigelow (The Hurt Locker) a shakerare l'opinione pubblica ed è polemica, ma pure box-office tintinnante: alla prima uscita parziale in cinque sale, a New York e a Los Angeles - l'11 gennaio, in tutte le sale Usa, il 7 febbraio in Italia, distribuito da Universal - il thriller d'azione basato sulla cattura di Bin Laden supera lo Hobbit di Peter Jackson, incassando 34.000 dollari, molto più di quanto si aspettasse la Sony. Il cui presidente, Michael Lynton, ora dovrà rispondere all'accorata lettera di tre senatori del Congresso - John McCain, torturato in Vietnam; Diane Feinstein e Carl Levin -, i quali affermano: «Il film non mostra la minima accuratezza nelle ricostruzioni e suggerisce che la tortura sia stata determinante nella cattura di Bin Laden». Proprio su questo dente che duole, negli States, ora batte la lingua dell'opinione pubblica, perché il Presidente Obama l'ha ripetuto in tv: «L'America non tortura». Ciò significa che la prima regista oscarizzata di Hollywood, l'ex-signora Cameron e produttrice di cui a lungo (e a torto) s'è detto come lei dovesse tutto al marito-méntore James, quello di Avatar, ha fatto centro di nuovo.
Zero Dark Thirty, il cui titolo riprende la formula militare americana con cui s'indica il buio totale, cioè il massimo segreto (trenta minuti dopo mezzanotte, quando tutto tace) che coprì la cattura di Bin Laden, è il film più importante dell'anno: lo dimostra la canizza che solleva intorno alla sicurezza nazionale. La Bigelow minimizza: «Quando ho capito che il cuore di quest'odissea decennale era una donna, mi sono entusiasmata», ha detto sulla base di ricerche storiografiche, oggetto di un'interrogazione al Congresso. Certo, quei 45 minuti d'angoscia, in cui si documenta la procedura dell'annegamento controllato del prigioniero Abu Ahmad al-Kuwaiti, braccio destro di Bin Laden, privato del sonno, costretto in catene a inghiottire sempre più acqua, fanno proprio male. «Ancora acqua, colonnello?», chiede l'ufficiale torturatore all'alto militare Maya, una Jessica Chastain protagonista convincente come super-militare che non guarda la tortura su un monitor, fuori della stanza dove si svolge, ma sul posto. «Non deve mica vergognarsi», la incoraggia il torturatore, ritenendola un essere fragile. Ma lei, convinta che per trovare Bin Laden, il terrorista più sanguinario del mondo, stanato e ucciso il 2 maggio 2011 dai Navy Seals ad Abbottabad, in Pakistan, occorra partire da quelle informazioni estorte per sevizia, non deflette.
Il fatto che il film inizi con una rievocazione d'atmosfera dell'11 Settembre - schermo nero, in sottofondo un montaggio di messaggi al telefono, grida e la voce d'una donna, che chiama i soccorritori dal World Trade Center - e finisca con l'uccisione di Bin Laden, scovato per il tramite delle torture, fa imbufalire la critica leftist. In realtà, su 157 minuti di grande cinema, denso di tensioni umane vibranti nei personaggi scritti dal collaboratore storico della Bigelow, Mark Boal, solo 45 s'incentrano sul «waterboarding», pratica cara all'amministrazione Bush e messa al bando da Obama. La maggior parte del thriller bellico, invece, ricostruisce con rigore giornalistico il dietro le quinte di una decade, diventando storia della più grande caccia all'uomo più pericoloso del mondo. Fitto di dialoghi, Zero Dark Thirty, ambientato tra i monti di Tora Bora, in Afghanistan (ma il set era in India), si chiede chi siano gli americani post 9/11.

E lo fa senza dirci che cosa dobbiamo pensare.

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