Cultura e Spettacoli

Addio al re di Broadway, che reinventò (ridendo) la commedia americana

Da "A piedi nudi nel parco" a "La strana coppia" scrisse capolavori ancora attuali. Aveva 91 anni

Addio al re di Broadway, che reinventò (ridendo) la commedia americana

Dire Broadway, con lo scintillio dei suoi palchi, significa dire Neil Simon, uno degli autori più importanti nel panorama internazionale del teatro e del cinema, che però non disdegnava la televisione. Adesso che il drammaturgo americano superbo descrittore dei conflitti familiari e delle nevrosi urbane, particolarmente in voga tra gli anni Sessanta e i Settanta del '900, è morto all'età di 91 anni, nella sua casa di Manhattan, a New York, difficile sapere chi uguaglierà tanto eclettismo.

I più associano il commediografo, nato nella Grande Mela il 4 luglio del 1927, a un suo titolo arcinoto, adattato sul grande schermo da Gene Saks, A piedi nudi nel parco (1963). Chi non ricorda l'allora deliziosa Jane Fonda bisticciare con l'aitante Robert Redford, sposini in cima a un grattacielo senza ascensore? Il successo teatrale di Simon fece bis al cinema, in tempi nei quali bastavano un lui e una lei molto carini e una trama romantica ben costruita a convogliare il pubblico in sala. E al cinema questo maestro della commedia teatrale, deceduto per le conseguenze d'una polmonite al New York Presbyterian Hospital di New York, conseguì un altro ottimo risultato con La strana coppia, ancora di Gene Saks: una candidatura all'Oscar nel 1969, com'era accaduto per il film precedente. E come si ripeterà nel caso de I ragazzi irresistibili (1976), Goodbye, amore mio! e California suite (1978) firmati da Herbert Ross. Quando egli scriveva, nella sua New York effervescente e densa di umori, attori brillanti come Jack Lemmon e Walter Matthau sembravano la coppia leggera adatta a rappresentare le sfumature più divertenti delle proprie opere, improntate a un tipo di comicità dichiaratamente yddish, alla Mel Brooks o alla Woody Allen, per intenderci.

Sottotesti, calembours, battute fulminanti e mai una volgarità, ma invece leggerezza e spasso autentico alimentavano la vena di Neil, figlio di Irving, commesso viaggiatore di famiglia ebrea, cresciuto nel Bronx, nel mezzo della Grande depressione. Quando, come spiegava lui, «c'erano cocktail party senza cocktail e ognuno era incazzato con chiunque». Come non bastasse, il padre di Simon abbandonò sua madre May, costretta a vagare da un parente all'altro per mantenere lui e il fratello Danny.

Nel dopoguerra il commediografo che, più di ogni altro, ha dato voce al ceto medio americano, rappresentando i classici borghesi pretenziosi, prestò la propria penna alla radio e al piccolo schermo. Per scherzo, si diceva che soltanto William Shakespeare avesse scritto più commedie di lui, che nel 1991 vinse il Premio Pulitzer (per Lost in Yonkers) e il Premio Mark Twain per l'umorismo: da ragazzino imparò l'arte di far ridere per strada, facendo battute con Mel Brooks e Sid Caesar. In un'intervista al Washington Post, nel 1997 dichiarò: «So d'aver raggiunto il punto più alto dei riconoscimenti. Non possono darmi altri soldi, oltre a quelli di cui ho bisogno. Non possono darmi altri riconoscimenti, oltre a quelli che ho avuto. Non ho motivo di scrivere un'altra commedia, se non per dire che sono vivo e mi piace campare».

Specializzato nella commedia, era «un gigante del teatro americano» - stando al tweet di ieri di Mark Hamill, l'attore di Guerre Stellari, che conosceva Neil Simon - ebbe una carriera lunga mezzo secolo: 17 Tony Awards, l'ultimo dei quali, nel 1975, «per lo speciale contributo al teatro». Dal 1965 al 1980 si sono contate oltre 9mila performances ispirate alle sue commedie e ai suoi musical: un record mai raggiunto. Soltanto nel 1966, a Broadway si rappresentavano quattro commedie sue, in contemporanea. Per dirla con il critico americano Clive Barnes, che ha scritto l'introduzione all'opera omnia di Neil Simon, «egli è destinato a restare un uomo ricco e di successo», anche capace di mettersi a nudo, esaminandosi senza compromessi, nella trilogia semi autobiografica Brighton Beach Memoirs (1983), Biloxi Blues (1985) e Broadway Bound (1986), dove esplorava amore e disperazione in una tipica famiglia ebrea di operai. «Per un uomo che non vuole dipendere da nessuno, starsene seduto in una stanza, da solo, a scrivere per 7-10 ore, condividendo il tempo con i personaggi che ha creato, è quasi il paradiso.

Almeno, una fuga dall'inferno», diceva.

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