Cultura e Spettacoli

Agli «Angeli» antistalinisti il «Marc'Aurelio del futuro»

La rivoluzione comunista è mondiale, s'illudevano i sovietici negli anni Trenta staliniani. Ma contro la meravigliosa anima russa più arcaica e spirituale, tra yurghe e tundre, civette onorate come sorelle e gatti magici, nulla potrà la bella Polina-Revoluzja (Dariya Ekamasova), incaricata dal neogoverno Soviet di mettere ordine su al Nord. E con lei moriranno i cinque artisti metropolitani, ex-combattenti, eliminati dalle pacifiche popolazioni indigene dei Khanty e dei Nenets, che detestano l'ideologia di quegli atei inviati dal Comitato del Popolo. Al settimo giorno, finalmente planarono sul festival gli Angeli della Rivoluzione , con il dramma romantico del fantantropologo Aleksej Fedorcenko, regista e sceneggiatore premiato ieri da applausi a fine proiezione e con il Marc'Aurelio del Futuro.

Il nuovo film dell'autore di Spose celestiali dei Mari di pianura , amato dalla critica e dal pubblico più avvertito, si svolge nel 1934, mentre le etnie contadine della Russia profonda, quelle che abitano in casette di marzapane e conciano le pelli in silenzio, lontane dalla nomenklatura sovietica, ignorano il governo centrale.

Un pericolo, il loro animismo magico: ci vogliono i bolscevichi dell'Avanguardia Russa, per riportare al centro il boccino delle idee. Il film paesaggistico, denso di atmosfere ovattate tra betulle e neve, con realismo e magia a fondersi in un teatro da camera formato cinema, magari verrà distribuito anche da noi: trattative in corso. «Il mio non è un cinema “facile”. Ma dobbiamo cercare di vedere anche il cinema più complesso, se il cinema americano sta diventando onnivoro», dice Fedorcenko, che qui adatta alcuni racconti di Denis Osokin, vincitore del prestigioso premio letterario russo per giovani autori, il «Debut Prize». «Il messaggio principale del mio film è che bisogna trattare gli altri come se stessi e non cercare di addomesticarli, o, peggio, ridurli a un unico metro di misura: il proprio», spiega il cineasta, produttore e sceneggiatore classe '66, nato nella regione siberiana di Orenburg. Il suo racconto riflessivo sulla politica oppressiva di Stalin «può essere adattato anche all'odierna Russia di Putin, che cerca di emarginare chi non si adatta all'unico modello circolante», afferma Aleksej.

È fantastica, nel finale, la vecchia yurga che canta un'antica canzone folk: è la prova vivente che il totalitarismo nulla può contro i sogni.

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