Cultura e Spettacoli

Altro che tragedia Pulcinella dimostra che la filosofia è una commedia

Andrea CateriniCon L'uso dei corpi lo scorso anno Giorgio Agamben ha chiuso la sua cattedrale filosofica che faceva capo a quell'idea primigenia del 1995 sotto il titolo di Homo sacer. Oggi pubblica un libro di diversa natura, pur non discosto da quella ricerca principe, Pulcinella ovvero Divertimento per li regazzi (nottetempo, pagg. 144, euro 27). Superati da poco i settant'anni, Agamben si sente nell'obbligo di affermare, per fuggire ogni equivoco su una sua presunta cupezza, che la filosofia è molto più vicina alla commedia di quanto lo sia la tragedia e che se la sua ricerca ha avuto un senso, è quello di rimanere fedele a un desiderio di felicità che gli ha fatto portare avanti i suoi studi. Interrogarsi su Pulcinella significa, per Agamben, interrogarsi sul senso stesso della filosofia. Così come aveva fatto molto prima di lui, alla fine del 700, Giandomenico Tiepolo, il quale decise di ritirarsi in solitudine disegnando oltre cento carte nelle quali ritraeva in diverse pose la celebre maschera gallinacea. In quei disegni Tiepolo compie «una sobria meditazione sulla fine», o meglio, cerca di fissare quella «figura» che sopravvive alla fine.Pulcinella «non è un sostantivo, è un avverbio: egli non è un che, è soltanto un come». Che vuol dire che esso è un'idea alla quale manca l'oggetto, la cosa. Si potrebbe supporre che sia quindi un'astrazione, ma in verità si tratta di un'origine: «Nella commedia di Pulcinella vi è soltanto parabasi uscita dalla scena, dalla storia . Nella vita degli uomini la sola cosa importante è trovare una via d'uscita. Verso dove? Verso l'origine. Perché l'origine sta sempre nel mezzo, si dà solo come interruzione. E l'interruzione è una via d'uscita». Agamben è come avesse voluto mettere a nudo i suoi strumenti di lavoro, mostrare il suo laboratorio, il motivo stesso della sua filosofia. Pulcinella, in quanto maschera, è ciò che indica, in ogni individuo, quello che in una vita è rimasto di non-vissuto, più che di inadempiuto. E quel non vissuto non è altro che la nostra stessa impossibilità di vivere; solo «a quel punto comincia la vita», ovvero la sua espressione, la necessità insomma di pensarla alla luce di quell'origine che ci è oscura. E ogni tentativo di esprimere l'impossibile della vita è a ben vedere un avverbio, un «come» spezzare, con inevitabile goffaggine, le azioni che ci pongano fuori dalla scena in direzione dell'origine.

Appunto, siamo dentro una commedia.

Commenti