Cultura e Spettacoli

Arte, musica, letteratura: a qualcuno piace «doc»

Da Nick Cave a Bukowski, da Siffredi al «Viaggio del tempo» di Malick: il Lido è dominato dai documentari

Arte, musica, letteratura: a qualcuno piace «doc»

Nostro inviato a Venezia

Ancora una volta, con sentimento, un festival del cinema è inondato da un flusso interminabile di documentari: storici, biografici, d'autore. È un film già visto. La tendenza (o è una moda dei selezionatori? o è un caso del mercato?) alla Mostra di Venezia, in questa Mostra di Venezia, è qualitativamente variabile ma quantitativamente impressionante. «Doc» è bello, ma il troppo stanca. O forse no. Ieri il film della giornata è stato One More Time with Feeling (Ancora una volta, con sentimento), documentario di Andrew Dominik, un tributo-testimonianza e insieme un viaggio sperimentale (in 3D) che attraversa la musica e il pentagramma emotivo di un artista-icona, Nick Cave, alle prese con la registrazione del nuovo disco e l'elaborazione della tragica morte del figlio. Come si (ri)trova la strada della creazione e della vita, nell'oscurità?

Il cinema racconta storie di finzione, a volte verosimili. Il documentario fa riemergere dall'oscurità storie vere, ma incredibili. L'altro tesoro di giornata, scoperto ieri al Lido, è stato il documentario di Bill Morrison Dawson City: Frozen Time che ri-monta l'avventura (vera) della straordinaria collezione di 500 film risalenti agli anni Dieci e Venti del 900, creduti persi per sempre, trovati durante i lavori per costruire un centro ricreativo, sepolti in una piscina. E così, con i frammenti di immagini risalenti quasi alla nascita del cinema, si ricompone il regista ha detto che ha «danzato» attorno a tutto questo materiale, altrimenti invisibile l'epopea della città di Dawson, Canada del Nord, alla confluenza tra lo Yukon e il Klondike, ai tempi leggendari della corsa all'oro. Dalla Disney di Paperone a Hollywood.

Ma è davvero tutto oro quel che luccica lungo la vena secondaria della gigantesca miniera di idee del cinema che chiamiamo documentario? Qui al Lido dove nel 2013 il Leone d'oro scoprì Sacro Gra abbiamo visto nei giorni scorsi: il documentario artistico Spira mirabilis, il film-doc American Anarchist, il film sulla natura umana (che però è un documentario sulla pratica di uccidere) Safari di Ulrich Seidl, mentre oggi vedremo l'annunciato capolavoro di Sergei Loznitsa che s'intitola Austerlitz (ispirato al romanzo di W.G. Sebald) ma che parla dei turisti di Auschwitz: così potente che qualcuno lo voleva in concorso. E poi passerà Voyage of Time del maestro Terrence Malick: come sottotitolo ha Life's Journey, ed è - nientemeno - che una documentazione visiva della «cronologia scientifica dell'universo»... Dentro un documentario si può mettere qualsiasi cosa, persino il viaggio della Vita. Di tutto, di più.

«Persino troppo. Ci sono già così tanti film in giro, e troppi brutti, persino ai festival, che non si sente la necessità dei documentari - bofonchia uno sfinito Tatti Sanguineti, coscienza critica della Mostra . Tanto meno di uno come Spira mirabilis, che non capisco cosa ci faccia qui a Venezia. Figuriamoci poi se mi interessano documentari come quello sulla Sozzani o Rocco Siffredi. La moda e il porno sono cose che vanno bene in tv, prima di addormentarsi. Qui meglio portare, chessò, il restauro di Rocco e i suoi fratelli». «Ma no, i documentari non fanno male ai festival del cinema - è l'idea di Michele Anselmi, vecchia volpe del Lido - perché a volte aiutano a creare elementi di rottura, come fece Sacro Gra, e a superare le barriere tra i generi. E a volte piacciono anche al pubblico...».

Tra la diffidenza del pubblico e i gusti della critica, la verità è che si fa presto a dire documentario. Un contenitore in cui ormai si mette di tutto. Una cosa è il documentario artistico/creativo, come Spira mirabilis, che si presenta come un film. Una cosa è il documentario costruito con archivi e immagini di repertorio, come farà domani - Assalto al cielo di Francesco Munzi, che racconta sogni e violenze degli anni di piombo. Un'altra cosa ancora è il documentario-biografico che narra la storia di un personaggio: che sia il Charles Bukowski «ritrovato» di You never Had It, o l'applauditissimo Nick Cave di ieri, o il Rocco Siffredi che da domani avrà sicuro successo... «Perché no? Sono cose che servono ai festival - risponde Marco Giusti, critico stracult -. Il cinema di finzione ormai è sempre meno messo in scena come opera d'arte. I documentari invece lo fanno. A volte».

E a volte succede persino che quando una moda (o una tendenza?) smette di essere tale, finisce per rimanere solo ciò che vale davvero.

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