Prima della Scala

(Auto)censure e battaglie, "Attila" non farà prigionieri

Il regista Livermore opta per gli effetti speciali senza facili riletture «attualizzanti» dell'opera di Verdi

(Auto)censure e battaglie, "Attila" non farà prigionieri

Le spalle robuste di Giuseppe Verdi sorreggono come Atlante il peso dello stivale in questi traballanti e incerti mesi che viviamo. Stando solo a guardare alcune delle principali inaugurazioni di queste settimane l'Italia tutta sembra un Verdi-festival: dal Teatro Regio di Torino (Trovatore) alla Fenice di Venezia (Macbeth), dal Teatro dell'Opera di Roma (Rigoletto) all'apertura della Scala (Attila), l'Evento che finisce per fagocitare (quasi) tutto; in certi casi, anche il nome dell'Autore.

La smania di notizie con cui lardellare bollettini, comunicati e curiosità non conosce sosta, soprattutto quando esaurite le dichiarazioni sull'emozione dei protagonisti, incominciano le fantasie sul tema, alimentate da sedicenti notizie filtranti dall'interno sull'allestimento scenico. Ovviamente prima, durante e dopo l'Evento i commenti si concentrano per la maggior parte su cosa ha fatto o su cosa avrebbe voluto dire il regista, essendo sconosciuta alla gran parte del pubblico presente alla prima qualunque nozione storico-musicale, nonostante guide ed esegesi a pioggia. Tutto questo a maggior ragione in presenza di un'opera che non fa parte del canone dei capolavori popolari come Attila.

Nonostante manchi un'esegesi scritta da parte del regista Davide Livermore o, in sua vece, un brillante scritto di un drammaturgo, non sono certo stati assenti i dibattiti sulla grande idea di simboleggiare sulla scena il patto fra il re barbaro Attila e il generale romano Ezio con un ponte, che sarebbe dovuto crollare al tradimento. Puntuale l'autocensura in rispetto alla tragedia di Genova: l'opzione sostitutiva pare sia un più neutro «distacco». Poi è saltato fuori un sindaco orobico che protestava per un oltraggio alla Madre di Gesù per presunti danneggiamenti di una statua della Madonna nel banchetto degli Unni ma certi improvvisati censori non vedono quanto succede fra pagani e cristiani in qualche episodio delle serie televisive Vikings o The Last Kingdom?

Il «cosa vedremo» stasera alla Scala è tema che ha assunto una rilevanza sempre maggiore in questi anni, nei quali il divorzio fra le scelte della messa in scena e quelle musicali sembra consumato (spesso gli spettatori, davanti alle menti registiche sapienti, si accontentano di una regia anonima, che non danneggia la musica). Ma si tratta di un rapporto, quello fra scena e musica, determinante una buona fetta dell'esito della prima. Come accadde con Carmen nell'era Barenboim quando le contestazioni decise alla regista Emma Dante fecero passare in secondo piano la gran prova dei solisti Anita Rachchelishvili e Jonas Kaufmann.

Livermore ha precisato che chi si aspetta elmi, pellicce, daghe e pepli è meglio si rassegni, perché l'ambientazione di questo Attila subisce un trasloco temporale in un'Europa del Ventesimo secolo (anni Quaranta?), dove lo scontro collettivo fra popoli non trascura la fragilità dell'onnipotente protagonista Attila. Si è sentito spesso che il luogo imprecisato dove si svolge l'azione è «distopico», un luogo fra Orwell e Wells, dove tutto è sgradevole, come le continue congiure contro l'onnipotente Attila. Naturalmente nelle tante interviste non è mancato il «pedale» che sottolineava l'attualità delle tematiche dell'opera di Verdi, giustificando l'aggancio con non meglio precisati elementi drammatici di forte contemporaneità. Tutto è lecito: dipende sempre dal «come» lo si fa. Sembra prevalere però, se non la certezza, almeno la speranza che non assisteremo, come capitato in passato, a facili allusioni politiche, come quella di un parallelo attualizzante fra il potere assoluto di Attila e quello dell'attuale inquilino del Cremlino.

Fin dalla trasmissione dello spot pubblicitario della trasmissione televisiva in cui si vede l'antefatto della vicenda (Attila che uccide il padre di Odabella), si capisce che Livermore ha intenzione di risolvere i momenti più descrittivi della partitura (la tempesta sul Rio Alto, l'alba ecc.) ricorrendo a proiezioni su schermi visivi. L'opera come antenato del cinema è un tema che Livermore ha trattato anche quando ha presentato nella passata stagione il Don Pasquale di Donizetti, in cui l'anziano protagonista che avrebbe dovuto ricordare Aldo Fabrizi si sposa con una Norina povera ma bella, nonostante perseguitato dal fantasma della madre edipica con le fattezze di Tina Pica.

L'importante è che Attila non sembri una «donna guerriera» come un fraintendimento viralizzato sulla rete ha riportato.

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