Cultura e Spettacoli

Da Bane all'ispettore Harry Callaghan Tutti i supercattivi della storia del cinema

Il primo «sgub» di Aldo Biscardi risale al 1956 quando, avendo preso da poco il posto di Antonio Ghirelli a Paese Sera, era a Mosca per seguire il Festival Mondiale della Gioventù insieme con Enrico Viarisio, Federico Zardi e Vittorio Gassman. Durante il ricevimento al Cremlino, quando fu il turno della delegazione italiana, il giornalista dai capelli rossi prese coraggio e, non si sa come, avvicinò Kruscev che gli mise in mano un panino dicendogli: «Mangia, mangia». La conversazione sfiorò temi politici ed economici fra champagne e caviale e uscì in prima pagina con un titolo in prima persona: «Ho brindato con Nikita Kruscev nei giardini del Cremlino». Il futuro ideatore, regista e conduttore - insomma, mattatore assoluto - del Processo del Lunedì poi diventato Processo di Biscardi aveva già capito che doveva diventare egli stesso un personaggio da raccontare. E che personaggio.
Lo fa, non senza qualche comprensibile indulgenza, la figlia Antonella nel libro Tutto (o quasi) su mio padre ora uscito da Limina (pagg. 133, euro 16) e arricchito dai contributi in prima persona dall'Aldo del Guinness dal momento che la «creatura» di Aldo Biscardi ha avuto il riconoscimento dal Guinness World Record come «il programma tv sportivo più longevo con lo stesso presentatore»: meglio del David Letterman Show, che nacque proprio nel 1980 ma subì interruzioni, e del nostrano Maurizio Costanzo show.
Tutto ebbe inizio l'1 settembre 1980 alle ore 22,45. Erano presenti nei vari studi di Roma, Milano, Torino e Napoli i calciatori stranieri più famosi: da Falcao a Krol, da Boniek a Prohaska. Naturalmente, alla prima «partita» fu subito polemica. Un telespettatore chiese a Falcao di rispondere a Nantas Salvalaggio che aveva scritto che il brasiliano era l'unico giocatore straniero che amava marcare ad uomo e leggere Oscar Wilde. L'ottavo re di Roma non si tirò indietro: «Mi sono informato, so che Salvalaggio ha una bella figlia. Mandi lei a intervistarmi, la preferisco a lui e potrà riferirgli notizie più sicure sui miei gusti e sulla mia personalità». Era nato ufficialmente Il Processo del Lunedì.
Il giorno dopo Biagio Agnes scrisse a Biscardi una lettera di congratulazioni, Gianni Arpino vi riconobbe il «bar dello sport» in tv, Alberto Bevilacqua sul Corriere della Sera ne scrisse come il primo e coraggioso tentativo di analisi del fenomeno calcistico. Aldo Biscardi aveva inventato il processo alle partite come anni addietro Sergio Zavoli inventò il Processo alla tappa del Giro d'Italia. Proprio Zavoli consigliò Biscardi di sviluppare il gioco soprattutto sul piano della conversazione salottiera. Cosa che, in verità, tra «movioloni», «sgub», «bombe» e furiose litigate non sempre è riuscita ma è indubbio che Aldo Biscardi, che ama raccontare di discendere da Roberto il Guiscardo - «guerriero vichingo che aveva i capelli rossi come me» ma che non sapeva che avrebbe avuto discendenti in quel di Larino in Molise - abbia inventato un genere giornalistico popolare tanto criticato quanto invidiato e copiato.
Eppure, quel mattatore di Aldo Biscardi - amico di Gassman, intervistatore di Pier Paolo Pasolini e di Anita Ekberg, primo biografo di Papa Wojtyla, autore di testi sulla storia del giornalismo sportivo e inchieste sulla Rai - non andò subito in onda: le prime due edizioni del Processo furono condotte da Enrico Ameri - sì, proprio quello di «scusa Ameri» - e la terza da Marino Bartoletti, mentre Biscardi faceva tutto il resto, dal tema agli ospiti alla regia. Ma è quando Aldo va in video, anche grazie alla vittoria del Mondiale in Spagna nel 1982 e allo scudetto della Roma nel 1983 che il fenomeno del Processo, con tanto di accusa, difesa e verdetto, si afferma. In particolare, Biscardi si rivelerà bravo in due cose: dando notizie e facendo di se stesso, anche con le sue gaffes che lo avvicinano a Mike Bongiorno, un personaggio e - come si usa dire oggi - un brand di successo.


Al fascino popolare della sarabanda di Aldo Biscardi e alla sua naturale simpatia hanno ceduto in molti: Silvio Berlusconi nel 1990, quindi ben al di qua di Forza Italia, entrò in studio per un saluto e vi restò per un'ora e mezza, ma ben prima di lui c'erano stati un capo del governo come Andreotti e un capo dello Stato come Pertini in uno storico collegamento dalla Val Gardena a 10 gradi sotto zero, mentre un altro presidente della Repubblica come Carlo Azeglio Ciampi non esitò a utilizzare la trasmissione di Aldo Biscardi per rilanciare l'inno di Mameli e invitare gli «azzurri» a non fare scena muta sulle note dell'inno nazionale.

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