Cultura e Spettacoli

Barbellion, caro e maledetto "Diario di un uomo deluso"

Naturalista per vocazione e poeta della propria vita (brevissima), è un classico del Novecento inglese

Barbellion, caro e maledetto "Diario di un uomo deluso"

Si chiamava Bruce Frederick Cummings, ma preferì che gli altri lo chiamassero W.N.P. Barbellion. E già la scelta di questo pseudonimo ci dice qualcosa di lui. W. sta per Wilhelm, N. per Nerone e P. per Pilato. Wilhelm potrebbe essere il Wilhelm Meister di Goethe, colui che voleva fondere realtà e finzione, uccidendo l'una e l'altra, oppure, chissà, Guglielmo il Conquistatore (le scarne schede biografiche sul Nostro non si sbilanciano), ma quanto a Nerone e Pilato, nessun dubbio: sono universalmente classificati tra le figure più oscure e maledette della Storia. Per contro, «Barbellion» era il nome di un'ottima panetteria di Londra. Come a dire: io sono il male e il bene, la morte e la vita...

Lui era espertissimo in entrambe le materie: visse soltanto trent'anni, tormentato da una dozzina di malattie in un crescendo culminato con la sclerosi multipla, eppure li assaporò quasi fino all'ultima goccia, quei trent'anni. Il suo Diario di un uomo deluso, prima delle ultime sei, definitive parole che non sono un commiato, bensì un urlo di dolore, si chiude così: «Ho soltanto ventotto anni, ma ho vissuto intensamente e indagato a fondo la vita come fosse durata di più: ho amato, mi sono sposato, ho una famiglia, ho pianto, ho gioito, ho lottato e ho vinto, e quando arriverà la mia ora, sarò contento di morire».

Nato a Barnstaple, cittadina inglese del Devon, il 7 settembre 1889, come tanti bambini di campagna si divertiva a scovare i nidi degli uccelli. Ma per lui quel gioco infantile fu il primo passo verso una vocazione irresistibile, quella del naturalista che lo portò, da studioso dilettante che per raccattare qualche sterlina si piegò alla professione di giornalista, a lavorare al British Museum, nella sezione zoologica. Dell'altra sua vocazione, quella letteraria, era invece meno consapevole. Ma qui, nel Diario di un uomo deluso ora riproposto da Castelvecchi (con troppi disturbanti refusi - pagg. 305, euro 19,50, traduzione di Serena Vischi) il lettore trova il pane fragrante di una scrittura che si muove, per improvvisi scarti e fulminanti illuminazioni, dal registro tragico a quello ironico, dai bozzetti di vita quotidiana a liriche aperture paesaggistiche, dall'invettiva contro un medico ciarlatano all'elegia in onore di una dolce signorina. La rassicurante provincia e la straniante Londra accompagnano le esplosioni di entusiasmo panico e i momenti di depressione urbana. La miracolosa medicina della musica (Beethoven, Chopin...) ascoltata all'«Albert Hall» o alla «Queen's Hall» è diluita nella preoccupazione per la guerra. I pochi amici, un Dio di volta in volta maledetto per il dolore che semina o invocato per la speranza che instilla, il matrimonio prima temuto e poi accettato. Infine, la nascita di una bimba, estremo lascito sano e innocente di un uomo malato e che si sentiva profondamente colpevole di egocentrismo.

Kerouac, Nabokov, Orwell, Wells (del quale qui leggiamo la prefazione) ebbero caro questo libro-confessione-testamento. Altri lo considerarono, visto l'anonimato dell'autore (al netto di alcuni articoli scientifici), un romanzo con al centro un bizzarro e sfortunato personaggio. Questi ultimi, inconsapevolmente ne diedero la lettura più calzante.

Perché Barbellion, pur senza mai recitare, è un grande autore postumo.

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