Cultura e Spettacoli

"Basta un Lego a spiegare perché ha vinto Trump"

Il guru degli small data: "I grandi fenomeni si capiscono a partire dall'uomo della strada"

"Basta un Lego a spiegare perché ha vinto Trump"

C'è qualcosa che lega un piccolo pezzo di plastica a Donald Trump. Un filo invisibile che passa dalle nostre teste, ci tiene assieme, dà delle risposte. E soprattutto segnala che il mondo sta cambiando: «Siamo entrati nell'era dell'antiglobalizzazione. Chi non se vuole accorgere verrà spazzato via». Martin Lindstrom è un guru del marketing, lavora e fa guadagnare le più importanti aziende del mondo partendo dall'assunto che sono «i piccoli indizi che svelano i grandi trend». Cioè il sottotitolo del suo libro che si chiama Small Data (Hoepli) e che ha raccontato ai più importanti manager al World Business Forum di Milano. E che spiega tutto ciò che le grandi aziende, i grandi pensatori, i grandi osservatori non vogliono vedere: «I grandi capitani d'industria parlano ogni giorno di Big Data perché fa tendenza, è di moda. Pensano di poter guidare il pianeta dalla propria scrivania. E invece è arrivato il momento di scendere in campo, di sporcarsi le mani. Capire l'uomo della strada, il Signor Rossi. Per comprendere come non morire». Ed è qui, appunto, che entra in campo il mattoncino di plastica. E anche il prossimo presidente degli Stati Uniti.

Premessa: prima di diventare un esperto mondiale del comportamento dei consumatori e un autore di bestseller come Neuromarketing e Buyology, Martin Lindstrom è stato un bambino in Danimarca. E amava giocare con i Lego. Con i mattoncini ha costruito perfino il suo letto, nel suo giardino ha inaugurato una specie di Legoland in miniatura. E il caso - ma mica tanto - volle che tra i visitatori un giorno ci fossero due dirigenti proprio dell'azienda danese più famosa nel mondo, che lo assunsero seduta stante per testare nuovi prodotti. Aveva 13 anni. Da lì a diventare una delle 100 persone più influenti del mondo (per Time) è un attimo. E il suo mantra è sempre quello: «Gli small data sono le fondamenta di tutto quello che facciamo. Le aziende pensano che testare un campione di 20-30 persone non valga la pena, e invece io vi chiedo e mi chiedo: perché quando un telecomando è scarico tutti cercano di schiacciare i tasti più forte come se fosse possibile spremere le batterie? Perché quando parliamo al cellulare camminiamo in circolo? Perché compiamo azioni apparentemente inutili pur sapendo che lo sono? Ecco, studiando le reazioni persona per persona si arriva al risultato globale. Studiando i piccoli dati li si combinano con i grandi e si trova la soluzione. E io adesso che vi guardo prendere appunti, osservo come scrivete e come siete seduti. E alla fine so chi siete. E cosa comprerete». Sa, Lindstrom, che siamo tutti sotto l'influenza di noi stessi. Senza saperlo.

Da qui si arriva a The Joneses, il film ispirato all'esperimento sociale in cui Martin ha investito 20 milioni di dollari e che è diventato la base del suo business. Ha preso una famiglia normale, l'ha trapiantata in un appartamento di un quartiere di Los Angeles, le ha dato il compito di parlare con vicini, amici e parenti sollecitando naturalmente l'attenzione su alcuni brand. E ha filmato tutto con telecamere nascoste. Alla fine il giro d'affari di quei marchi in quella zona si è moltiplicato in pochissimo tempo, e adesso esistono 7 finti supermercati negli Usa e uno in Svizzera dove ignari clienti interagiscono con prodotti e finti manager per formare un campione diverso zona per zona: «Quello che le grandi aziende dovrebbero capire è che oggi conta il senso di comunità. Intesa come comunità locale, ma anche di genere o di interessi. Per esempio, tornando alla Lego: lo sapete che nei bambini il concetto di gioco è indipendente dal fatto che sia on line oppure tradizionale? Lo sapete che i bambini costruiscono mentre le bambine creano? Che i ragazzini tengono gli omini in mano come prolungamento della loro mano e dei loro occhi, mentre le ragazzine pensano che abbiano una loro autonomia? Quello che facciamo da piccoli ci dice quello che noi saremo da adulti. E da consumatori».

È neuromarketing, ovvero il mondo che sta cambiando: «I grandi manager dovrebbero dedicare tempo a parlare con le persone: a casa, per strada, dal barbiere. Dovrebbero uscire da loro stessi. E invece ci sono aziende che viaggiano con lentezza verso il futuro. McDonald's non cambierà certo la forma dell'Happy Meal perché dovrebbe rivoluzionare un'intera fabbrica in Cina; ma Walmart ha una banca dati che è grande come quelle di Fbi e Cia messe assieme, eppure l'anno scorso ha subito forti perdite. Pensano ai grandi numeri ma non capiscono i consumatori: è evidente ciò che sta succedendo. E il futuro è tutto qui: nei desideri delle comunità, nel ritorno dalla strada della globalizzazione. Continueremo a comprare Apple, ovvio, e a bere Coca Cola. Ma se le dicessi che l'età media dei consumatori della bevanda in Usa ora è 57 anni?». Incredibile. Come incredibile è il fatto che Donald Trump possa essere in fondo paragonato a un progetto di marketing, «anche se io non ho mai lavorato con i politici». Con le loro promesse soprattutto. «Che però sono come quelle della pubblicità. Prenda quella bottiglietta d'acqua che ha accanto a lei: uno spot potrebbe dirle che bevendola diventerà più sexy. Una promessa, e lei potrebbe anche crederci. Ma sarà vero? Se invece le dicessi che quell'acqua è buona, basterebbe assaggiarla per scoprirlo. Il messaggio è riconoscibile. Così, quando Trump ha detto: Alzerò un muro, ha lanciato un messaggio preciso. Che sommato ai suoi modi e al suo aspetto è inconfondibile». Ha creato insomma una comunità intorno a lui, analizzandone i bisogni. «E sa una cosa? Se Trump fosse una bottiglietta d'acqua, lei saprebbe per certo prima di aprirla il suo aspetto e il suo sapore.

E la comprerebbe».

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