Cultura e Spettacoli

Beffe, caos, ossessioni nella costellazione del "folle" Permunian

Tornano i romanzi "chiave" (da rileggere) di uno fra i nostri scrittori più originali

Beffe, caos, ossessioni nella costellazione del "folle" Permunian

Si dice, di alcuni narratori, che sono soliti riscrivere sempre lo stesso libro; e che nel primo libro è possibile trovare le tracce il destino di un'opera intera. Potremmo affidare queste generiche affermazioni anche a Francesco Permunian, ma dovremmo subito aggiungere due considerazioni. La prima riguarda i significati: Permunian non riscrive lo stesso libro ma ripete ogni volta, alimentandola, la stessa ossessione. La seconda ha a che fare con la forma. Ovvero, non già nel primo libro ma nei primi due è possibile riconoscere la visione d'insieme. Parlo dei due romanzi Cronaca di un servo felice (pubblicato da Meridiano Zero nel 1999) e Camminando nell'aria della sera (la cui prima edizione Rizzoli è del 2001), che escono ora in un unico volume col titolo Costellazioni del crepuscolo (Il Saggiatore, pagg. 404, euro 24; introduzione di Salvatore Silvano Nigro), che rimanda a una serie di appunti che sono il ponte (concettuale e formale) tra il primo e il secondo romanzo.

Vale la pena riflettere su questa seconda considerazione. Perché Pemunian se nel primo romanzo ci ha fatto conoscere il suo immaginario allucinato tra blasfemia e parodia , la sua ossessiva ricerca di scavare nel caos, nell'insensatezza, negli incubi, nella «trama di quel delirio divino che è la vita umana», di conseguenza presentandoci i suoi espliciti e mai negati fratelli, prima che maestri (penso a Cioran, Bernard, Gombrowicz, Artaud ecc.), non risparmiando di maledire l'aria stantia e ipocrita degli intellettuali italiani, nel secondo romanzo invece trova, a quella stessa allucinazione, una forma che gli sarà consona pure nelle opere future e anche più apertamente autobiografiche, ovvero quella di costruire un romanzo in questo caso il romanzo di un dottore che raccoglie le storie di follia di tutti i suoi pazienti attraverso brevi episodi. Episodi che oltre la follia dei personaggi si caratterizzano per un paesaggio specifico, quello della provincia veneta, che è il paesaggio dell'infanzia e quindi quello di una memoria che consente un dialogo spietato e lacerante con i morti e con la morte più in generale.

Una forma e un paesaggio che si fisseranno nei libri successivi con un tono persino malinconico, come Dalla stiva di una nave leggera (Diabasis, 2009), La casa del sollievo mentale e Il gabinetto del dottor Kafka (entrambi pubblicati da Nutrimenti nel 2011 e 2013).

Ha ragione Salvatore Silvano Nigro, affermando nella sua introduzione che certi libri si comprendono meglio rileggendoli alla distanza, magari dopo aver letto le opere successive del suo autore. Risfogliando infatti a ritroso i suoi libri, ci accorgiamo che, come narratore, Permunian è un Caronte, un traghettatore di anime dannate. Ma non si guardi a questa similitudine in negativo. Se Permunian traghetta dannati è per offrire loro un luogo in cui eternamente potranno abitare, un luogo insomma che li accolga, che li faccia sentire a casa. E quella casa è un artificio, misericordioso anche se mai curativo ma profondo, insostenibile, cioè conoscitivo. Quel luogo è la letteratura. E la letteratura è «la casa del sollievo mentale». Ma non si pensi a un significato salvifico. Del resto, aveva scritto in Dalla stiva di una nave leggera che «la purificazione attraverso la parodia» è «l'unica via religiosa che mi è consentita, essendo in me ormai ineliminabile l'impulso alla beffa, alla blasfemia».

Per Permunian pare che la letteratura sia il luogo in cui le follie non sono giudicate, ma trovano una necessità d'esistenza e d'espressione, finanche una ragione archetipica e assoluta.

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