Cultura e Spettacoli

"La Bella e la Bestia" live fa rimpiangere il cartone

di Bill Condon con Emma Watson, Dan Stevens, Luke Evans, Josh Gad, Kevin Kline

"La Bella e la Bestia" live fa rimpiangere il cartone

Le buone idee scarseggiano da tempo in quel di Hollywood e anche la Disney si è, in parte, adeguata ripescando i suoi vecchi cartoni e riproponendoli in versione «live», ovvero con attori in carne e ossa, giocando sulla potenza della tecnologia. Questo La Bella e la Bestia, ultimo nato del «nuovo» filone, finisce per sovrapporsi alla versione animata del '91, quella che venne gratificata con due meritati premi Oscar. Comprese le musiche di Menken e i testi di Ashman, pur con qualche variante. Qui, addirittura, in alcuni momenti, ti vengono riproposte le medesime inquadrature del film d'animazione, pur se il tutto è dilatato di (eccessivi) 32 minuti rispetto alla versione del 1991, consacrati in un prologo che spiega meglio la maledizione che ha colpito la Bestia e nel rapporto tra lo spasimante di Bella, Gaston, e il suo amico LeTont. Insomma, nessuna sorpresa. La Bella si offre come ostaggio alla Bestia, in cambio del padre. E l'animo gentile di lui, la conquisterà, facendo dissolvere l'incantesimo. Benissimo, ma questo adattamento a che risultati porta? Nel confermare che solo la presenza dei domestici del Principe, trasformati, dal famoso incantesimo iniziale, in pendole, teiere, tazzine, guardaroba, ecc., permette di dar vita a dei simpatici sketch che fanno dimenticare la ben più noiosa e moralistica parte con gli attori, tra i quali spicca Emma Watson. Scelta non casuale la sua, nei panni di Bella, visto il suo attivismo in tema di diritti. E ne La Bella e la Bestia, l'importanza di poter sfuggire ai ruoli preconfezionati dalla società, il valore dell'istruzione, il raffronto tra bellezza interiore e esteriore, trovano, in lei una valida ambasciatrice. Quanto alla famosa scena gay, rivelata dal regista Condon, verrebbe da commentare con un tanto rumore per nulla. C'è sì, nel film, un utilizzo «cripto-gay», detto-non detto, del personaggio di LeTont, scudiero di Gaston, ma senza coming out. Forse, il regista fa riferimento al ballo finale nel quale, per un istante, LeTont si ritrova a danzare, mano nella mano, con un ragazzo che indossa abiti femminili, con relativo sorrisino compiaciuto verso la camera. Nulla di più.

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