Cultura e Spettacoli

"La bellezza si può trovare anche nel dolore più grande"

L'attore parla di "Collateral Beauty" (esce domani) nel quale è un padre in lutto per la morte della figlia

Will Smith via LaPresse
Will Smith via LaPresse

La sua risata è contagiosa e virulenta come il morbillo, ma i suoi effetti decisamente più benefici. Ha molto da ridere, effettivamente, Will Smith. Cuor contento il ciel l'aiuta, dice un proverbio popolare. E lui è l'incarnazione di quel detto: se la sua sia una posa o semplicemente l'esternazione della sua immensa personalità non è dato saperlo, a naso propendiamo per la seconda ipotesi. Quel che è certo è che il suo sorriso di persona eternamente felice rapisce e affascina. E lui conferma, senza falsi pudori: «Sì, io sono sempre felice. Ho un paio di lenti rosa sugli occhi». Sarà che ogni cosa che fa si trasforma in oro. Era milionario e felice già a 18 anni, quando il suo rap, leggero e ironico, conquistava le ragazzine degli anni Ottanta. Lo era dieci anni dopo, quando sbancava i botteghini con quel successo planetario che lo consacrò nel firmamento di Hollywood: Independence Day. Lo era quando sposò Jada Pinkett e lo è oggi, quando promuove un film che spiega un concetto filosofico molto semplice: anche nel dolore, nella tragedia, nel tradimento si può trovare bellezza e senso compiuto, è questa la «bellezza collaterale».

Il film, diretto dal premio Oscar Davide Frankel (Il diavolo veste Prada e Io & Marlie), vede impegnato un cast all-star: Edward Norton, Helen Mirren, Kate Winslet e Keira Knightley, oltre all'attore di Men in black, e racconta di un padre in lutto per la morte della figlia che decide di intraprendere un percorso di terapia di gruppo che gli imporrà di scrivere lettere indirizzate all'amore, che tutti desideriamo, al tempo, che fugge, e alla morte, che temiamo. Tre lettere che daranno il via a una serie di eventi che permetteranno all'uomo di apprezzare la bellezza collaterale anche nell'evento più drammatico che possa capitare a un genitore. «Da genitore posso dire che è il peggiore incubo e una parte di me non poteva e voleva immaginare quel dolore. A farlo mi ha aiutato la nostra guardarobiera che ha perso un figlio di recente e che ha usato l'esperienza sul set come attività terapeutica. Ci ha dato idee, mi ha fatto capire la sua lotta quotidiana e questo film è dedicato a lei».

È vero che dopo Sette Anime, il suo secondo film con Gabriele Muccino, aveva deciso che non avrebbe più fatto film drammatici?

"Almeno per un po', sì, l'avevo deciso. Non sono abituato a tanto peso, e quello era un film decisamente tragico, mi stavo ammalando. La tristezza mi fa venire la febbre. Ero sempre raffreddato".

Lei crede nel concetto di bellezza collaterale?

"Assolutamente sì. Credo che la luce sia connessa al buio, che l'amore sia connesso al dolore, il bianco al nero, e penso che si possa trovare tutto in ogni cosa. Non c'è nulla che possa accadere che sia solo bello o solo brutto, solo positivo o solo negativo".

Si può trovare bellezza nella morte e nel dolore?

"È difficile da vedere, a volte sembra impossibile anche da concepire, ma c'è e si può trovare. Ho appena perso mio padre, dopo una lunga malattia. Gli avevano detto che avrebbe vissuto sei settimane, invece ne ha vissute quaranta. Sono stati momenti di gioia e anche di comprensione profonda. Arrivare ad accettare la nostra precarietà, imparare a lasciare andare con grazia. C'è bellezza in tutto questo? Io ne sono convinto".

Un ottimista come lei trova bellezza dappertutto.

"Ho la tendenza a dimenticare le cose spiacevoli. I miei hanno divorziato quando avevo 13 anni, eppure se ripenso a quel periodo non ricordo che l'allegria di un normalissimo adolescente. E anche il mio di divorzio (Smith è stato sposato per tre anni con Sheree Smith, prima di conoscere la sua attuale moglie) non ha rappresentato per me un momento di distruzione, al contrario, è stato fondamentale per costruire il matrimonio, riuscito, con Jada. Anche quando, a vent'anni, mi ritrovai sull'orlo della bancarotta, ero comunque felice".

Già, perché a vent'anni è riuscito a spendere tutto quello che aveva guadagnato vendendo milioni di dischi e interpretando in tv il Principe di Bel Air.

"Ero giovane, compravo cose costose. Mi sono mangiato tutto. Ma poi ho imparato dai miei errori e sono diventato più saggio. Sarà per questo che sono così ottimista. Tutto ciò che di negativo capita nella vita insegna qualcosa per il futuro e aiuta a crescere".

È questa anche la ragione per cui non è severo con i suoi figli? Devono anche loro imparare dagli errori?

"Fondamentalmente sì. Io sono cresciuto in una famiglia organizzata come una base militare, mio padre era stato nell' aviazione e la disciplina in casa era ferrea. Io e Jada abbiamo deciso di seguire un approccio diverso nell'educazione dei figli. Sappiamo che non sono una nostra proprietà e sappiamo che hanno una loro personalità, differente dalla nostra e individuale. Quindi tendiamo a considerarli padroni delle loro azioni. Quello che cerchiamo di fare però, è farli ragionare sulle conseguenze del loro comportamento. Ci sediamo e chiediamo loro per quale motivo quella determinata azione dovrebbe portare loro un vantaggio personale. Ricordo di aver chiesto a Jaden, quando aveva più o meno sei anni, il motivo per cui prendere a calci la sorellina doveva rappresentare un miglioramento nella sua esistenza. Trovò difficile spiegarselo e smise di farlo. Tutti noi vogliamo avere ragione e mettere un ragazzo davanti all'impossibilità di spiegare la sua di ragione è un'arma più potente di qualsiasi punizione".

Ma lei ce l'ha mai avuto un vero momento di malinconia?

"Il fatto è che riesco sempre a trovare il lato ironico della vita. Anche nelle situazioni più drammatiche. Mia madre qualche anno fa subì l'amputazione di una gamba a causa del diabete e, mentre tutti erano mesti e preoccupati, io non potevo smettere di scherzare.

Le dissi mamma, conosco un truccatore a Hollywood che fa miracoli, rise forte e le fece bene".

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