Cultura e Spettacoli

Benvenuti nell'epoca della bigotteria planetaria

La vera novità del turismo del nuovo millennio, scrive Roberto Calasso in L'innominabile attuale (Adelphi, 189 pagine, 20 euro), è il volunteer travel, il turismo a fin di bene. Appartiene a quella categoria definibile come "bigotteria planetaria", propria di un mondo secolare che "ignora la grazia, ma continua a sentire un acuto bisogno di salvarsi".

Benvenuti nell'epoca della bigotteria planetaria

L a vera novità del turismo del nuovo millennio, scrive Roberto Calasso in L'innominabile attuale (Adelphi, 189 pagine, 20 euro), è il volunteer travel, il turismo a fin di bene. Appartiene a quella categoria definibile come «bigotteria planetaria», propria di un mondo secolare che «ignora la grazia, ma continua a sentire un acuto bisogno di salvarsi». Il suo paradosso consiste in un turismo che si vergogna d'esser tale e si camuffa in qualcosa di altro, più significativo, in quanto dotato di una mission, estraneo al puro svago, a quella che in altre epoche si sarebbe chiamata «un'ombra fuggitiva di piacere». È, se si vuole, il portato finale del secolarismo umanista dove la fedeltà nel trascendente è stata sostituita con la fede nell'umanità, qualsiasi cosa questa parola voglia significare. Suoi corollari sono l'informazione al posto della conoscenza, la cosiddetta «disponibilità informatica» grazie alla quale «la mitomania è entrata a far parte del buon senso», la tecnologia che si sostituisce alla coscienza.

All'indomani della Seconda guerra mondiale, Auden scrisse un poemetto intitolato L'età dell'ansia, ma, nota Calasso, al giorno d'oggi non è l'ansia a prevalere, ma l'inconsistenza, «un'inconsistenza assassina» propria di un nuovo millennio «informale, grezzo e sempre più potente». Non trova altro termine per definirla che quello scelto come titolo del libro, «l'innominabile attuale», appunto, e per certi versi è il residuo passivo e/o la sistematizzazione di quanto fra il 1933 e il 1945 avvenne nel mondo, ovvero «un tentativo di autoannientamento parzialmente riuscito». La seconda parte del libro racconta proprio questo, un regesto intellettuale affidato alla parola scritta di Roth e di Mann, di Céline e di Brasillach, di Benjamin e di Koestler, di Jünger e di Gide e dal quale emana «un'aria di famiglia, qualcosa di ipnotico. Fu il picco del bianco e nero, nel cinema e nella vita».

Nel corso del Novecento, osserva ancora Calasso, «si è cristallizzato un processo di enorme portata, che ha investito tutto ciò che passa sotto il nome di religioso. È come se l'immaginazione si fosse amputata dopo millenni della sua capacità di guardare oltre la società alla ricerca di qualcosa che dia significato a ciò che accade all'interno della società. Passo audacissimo, che implica un formidabile alleggerimento psichico. Produrre o comunque favorire - quell'alleggerimento è una caratteristica decisiva della democrazia», anche se quest'ultima non è «un pensiero specifico, ma un insieme di procedure». Ciò che Calasso non coglie è che quella cristallizzazione è invece proprio un portato delle idee democratiche, nel passaggio dalla società classica, astorica, a quella moderna, tecnologico-industriale. È l'Illuminismo, nella sua duplice filiazione dell'individualismo liberale e del marxismo, a fare da battistrada a un senso della storia come fine ultimo, in cui l'uomo è un soggetto subordinato; alla ragione come bussola dell'agire; all'economia come valore; all'accettazione delle leggi del divenire come dato di fatto; a una concezione materialistica della vita come etica comportamentale. L'ingresso delle masse, la loro irreggimentazione e modernizzazione, fa il resto e lo fa in una società dove essendo venuti meno i corpi intermedi da un lato, la loro funzione di ammortizzatore del potere assoluto dall'altro, si rende necessaria una nuova articolazione in cui l'atomizzazione provocata dalla dissoluzione delle antiche regole venga ricomposta in un nuovo insieme.

Stranamente Calasso fa delle società organiche un frutto delle società secolari, «l'aspirazione ricorrente di tutte le società che sviluppano il culto di se stesse. In questo Marx e Rousseau, ma anche Hitler e Lenin hanno trovato una fugace concordia». In quest'ottica, ha ragione nel sostenere che «la deprecata atomizzazione della società può essere anche una forma di autodifesa da mali più gravi. In una società atomizzata ci si può mimetizzare più facilmente. Non si aspetta che la polizia segreta suoni alla porta alle quattro del mattino». Pur consapevole di «un ovvio arbitrio», fa di Sparta il prototipo di ogni organicismo, mentre più semplicemente ne è la sua assoluta militarizzazione, realtà che manca all'Atene di Pericle, alla Roma repubblicana come a quella imperiale, al feudalesimo come alle monarchie per diritto divino, tutti esempi, anche loro, di società organiche. In realtà, le società secolari tendono a scimmiottare quelle organiche nel momento in cui, avendole soppiantate, si rendono conto che l'assenza di sacralità non è compensata dalla presenza della modernità e che alle masse va trovato un utilizzo e un ruolo sociale. Ne sono insomma l'antitesi, se si vuole la degenerazione: vengono dopo, non prima.

Consiste anche in questo lo scontro che nella prima metà del Novecento giungerà al «tentativo di autoannientamento» citato da Calasso, perché c'è un'anti-modernità, o un modernismo reazionario, che più o meno confusamente si rende conto che la strada imboccata, la fiducia incondizionata nella tecnica, la liberazione da ogni legame sacrale, il venir meno del Politico rispetto all'economia, il regno della quantità rispetto alla qualità avrà come risultato qualcosa di simile a quell'«innominabile attutale», informale, grezzo, potente quanto inconsistente in cui oggi siamo immersi e da cui ormai non sappiamo più come uscire. Quando Simone Weil, nel 1941 scrive che «oggi solo l'adesione senza riserve a un sistema totalitario bruno, rosso o altro, riesce a dare, per così dire, una solida illusione di unità interiore» e perciò «costituisce una tentazione così forte per tante anime smarrite», è proprio di questo che sta parlando. E si capisce allora perché a petto di quell'album di famiglia dell'età moderna prima ricordato, il fascismo apparisse come un monstrum, ovvero un qualcosa di radicalmente diverso. Un movimento che rifiutava il tradizionalismo della destra classica, l'idea cioè di una restaurazione del mondo pre-Rivoluzione francese, con i suoi dogmi, la sua cultura, la sua fiducia assoluta in valori provenienti da un'entità superiore, trascendente. Allo stesso modo, però, un movimento che si schierava contro l'Illuminismo che da quella rivoluzione era uscito vincente, ovvero contro l'idea del Progresso come motore immobile del mondo; la concezione lineare della storia che conduce verso un fine ultimo e conclamato; l'essere umano inteso come un semplice scherzo della natura. Ne rifiutava altresì la variante liberal-democratica, quella che affidava all'economia di mercato da un lato, alla rappresentazione politica indifferenziata dall'altro, il compito di fissare le regole della partita della vita, individuale e collettiva di un popolo. A tutto ciò opponeva una visione interventista dell'esistenza, lo spiritualismo di chi non riduce la propria presenza sulla terra al soddisfacimento dei propri bisogni, ma si carica di un'etica, di un sacrificio, il rifiuto del sistema democratico-rappresentativo, considerato non idoneo a rispondere ai bisogni e alle necessità delle masse entrate in scena con il suffragio universale. Se sono queste le radici del fascismo, se ne comprende meglio essenza e originalità in quanto fenomeno storico del XX secolo, il che non vuol dire accettarne o condividerne le idee. Gli storici delle crociate riconoscono la validità dell'Islam, ma non per questo diventano maomettani

Secondo Calasso, «il pensiero secolare è ciò che rimane dopo un processo di svuotamento progressivo operato da un certo numero di millenni. Animali, dèi -come plurale o come singolare- demoni, angeli, santi, anime, spiriti e alla fine anche principi e volontà sono stati gradualmente evacuati. E sono divenuti materiali per ricerche. Tutti presenti, ma nei libri. Nel frattempo il pensiero quotidiano faceva sempre più volentieri a meno dei libri stessi». Il risultato è che la voce che si fa più notare nell'Homo saecularis è quella «progressista e umanitaria. Applica precetti di eredità cristiana, ammorbiditi e edulcorati. Soluzione tiepida e pavida, si combina, in senso inverso, con il movimento in corso nella Chiesa stessa, che cerca sempre più di assimilarsi a un ente assistenziale. Il risultato è che i secolaristi parlano con una compunzione da ecclesiastici e gli ecclesiastici ambiscono a farsi passare da professori di sociologia». L'analisi è precisa, ma vale la pena di sottolineare come in quel processo di svuotamento la modernità, nella sua accezione più vasta, tecnico-industriale, laico-progressista, sia responsabile di una accelerazione e di una trasformazione mai vista prima di allora e che nel passaggio dal dadaismo al dataismo, per usare una felice formula calassiana, dalla sconnessione universale alla connessione coatta, ha avuto un ultimo e potente soprassalto.

L'innominabile attuale è anche questo, una modernità autistica.

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