Cultura e Spettacoli

Da Braque a de Kooning così i giornali diventano arte

Francesca Amé

I giornali di carta diventano pezzi da museo: non (almeno non ancora) quali oggetti di modernariato surclassati dal digitale, ma grazie alla press art. Il termine lo ha coniato Peter Nobel, avvocato di Zurigo esperto in diritto della comunicazione, per dare un nome alla corposa collezione cui da un quarto di secolo si dedica insieme alla moglie Annette: sono tutti lavori, dal Novecento ad oggi, capaci di trasformare la carta da giornale (una parola stampata, una foto, una copertina) da bene di largo consumo a pezzo unico. Da notizia a opera d'arte. Come? Se vogliamo fermarci alla tecnica i modi sono tanti: ci sono artisti hanno iniziato a farlo i cubisti e i surrealisti che hanno sfruttato il collage, altri che hanno preso foto di cronaca e le hanno inserite nei dipinti e altri ancora che hanno preferito serigrafie tratte da immagini di rotocalchi.

I temi sono ancor più disparati. C'è l'ironia del tedesco Kurt Schwitters che negli anni Trenta sbeffeggia un'intervista di Hitler alla Fiera di Francoforte in cui il Führer si autocelebra come «scrittore» (Man soll nicht asen mit Phrasen è il titolo del suo collage su cartone), ci sono scatti come quelli di Petr Axenoff, celebre per la sua Princess Diana in velo nero integrale mentre legge con nonchalance Time, senza dimenticare le opere politiche del brasiliano Vik Muniz i cui ritratti sono fatti assemblando articoli di stampa clandestina, oscurati dalle dittature che si sono succedute in Sudamerica.

Nella collezione Nobel c'è spazio per protagonisti delle avanguardie come Joan Mirò, Alberto Giacometti, Hans Arp, Alighiero Boetti e per le riflessioni contemporanee di talenti come Urs Fischer. Non si può parlare di press art senza includere il contributo di Joseph Beuys, sempre a caccia di performance da prima pagina, e di Andy Warhol, che per primo ampliò l'orizzonte figurativo della pittura ai titoli dei tabloid, trasformò l'atelier in factory industriale e sostenne l'accessibilità dell'arte per tutti, sigillando così il legame tra arti visive e mass-media. Tutto questo lo racconta And Now the Good News. Opere dalla Collezione Annette e Peter Nobel, viaggio affascinante su due piani, dieci sessioni e trecento opere nelle sale del Masi Museo d'arte della Svizzera Italiana di Lugano (dal 28 maggio al 15 agosto, per la curatela di Elio Schenini e Christoph Doswald), a dimostrazione che esistono ancora collezionisti sedotti non dal mercato, ma da un'idea. E collezioni che valgono, da sole, una mostra.

Secondo un rigoroso ordine cronologico, a Lugano sono esposti pezzi notevoli quali la litografia di Georges Braque L'oiseau dans le feuillage, il complesso e colorato collage di Le Corbusier Je rêvais, un olio di de Kooning che pare incidere, con la sua pittura gestuale, le pagine di giornale. Sala dopo sala la mostra documenta la viscerale relazione tra arte e carta stampata: dall'infatuazione del Cubismo (ché i giornali erano la modernità), al matrimonio dorato degli anni pop, alla relazione altalenante degli anni Settanta fino al distacco, ora critico ora ironico, degli ultimi tempi.

Per tutti - tra le opere recenti spicca il notevole yummyhorseseeye di Urs Fischer, che gioca con la comunicazione sincopata di oggi la carta da giornale o da rivista non è mai mero supporto o decorazione: l'intervento artistico si confronta con l'informazione, in alcuni casi mettendone in evidenza il contenuto, in altri i limiti.

Sempre, porgendo la notizia (la grande storia e quella locale, poco importa) all'attenzione di chi guarda, e questo per chi fa il nostro mestiere è una good news.

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