Cultura e Spettacoli

Brizé, «Une vie» di bugie e delusioni

Fedele al romanzo di Maupassant, con una grande Judith Chemia

Brizé, «Une vie» di bugie e delusioni

da Venezia

«La vita, vedete, non è mai tutta buona o tutta cattiva come si dice...» commenta Rosalie mentre la sua padrona stringe fra le braccia la nipotina appena nata. È tutto ciò che le resta di una esistenza che l'ha vista sposa ingenua e subito tradita, vedova e madre devota eppure continuamente ingannata: i debiti del figlio hanno prosciugato l'ingente patrimonio che Jeanne di Perthuis aveva ereditato dai genitori, riducendola a vivere della carità di quella che un tempo era stata la sua domestica, nonché amore ancillare del marito. Tutto ciò in cui credeva si è rivelato falso, il mondo dei grandi in cui si è trovata catapultata dopo il collegio non le ha riservato che amarezze. Una vita, la sua, si è consumata così, eppure quell'altra vita che ora accarezza la ripaga del passato e sembra lanciarla nel futuro, confinandola però ancora e sempre nel regno infantile da cui non ha mai saputo uscire. Perché Jeanne non ha mai vissuto, si è semplicemente lasciata imprigionare dalla vita.

A Venezia arriva in concorso Maupassant e bisogna mettersi sugli attenti: Une vie è uno dei suoi romanzi più belli e più spietati, e il film che ne ricava Stéphane Brizé è esemplare per fedeltà di sceneggiatura e intelligenza cinematografica. Sullo schermo, la Normandia dello scrittore risplende nelle primavere e si incupisce negli inverni, ma le stagioni rimandano agli stati d'animo e alle età: la giovane Jeanne è un prodigio di freschezza e di gioia di vivere, il tempo si incaricherà di appassire la prima e spegnere la seconda. Judith Chemia, Pierre Darroussin, Swann Arlaud e Yolande Moreau prestano i loro volti alla povera sposa, a chi l'ha messa al mondo e a chi, tradendola, al mondo la condannerà, e lo fanno con una souplesse e un'intensità ammirevoli. Un gioco di flashback mette a confronto le illusioni di una vita in cui rifugiarsi quando le delusioni della vita si fanno insopportabili, il combinato disposto di stupidità, fanatismo, mancanza di carattere fanno il resto. «Racconto la perdita di quel paradiso perduto che è l'infanzia dice Stéphan Brizé - quel momento dell'esistenza umana in cui tutto sembra perfetto. Si vedono le cose senza uno sfondo, gli adulti sono coloro che sanno tutto, coloro che ci dicono di non mentire e, dunque, loro stessi non mentono mai». E invece, tutti o quasi mentono intorno a Jeanne, a cominciare dalla madre, a continuare con l'amica del cuore, con il marito, con il figlio, con la sua stessa serva... Bugie grandi e bugie piccole, frutto di cattiveria, di meschinità o di quieto vivere, ma per evitare che si trasformino tutte in ferite non rimarginabili occorrerebbe una capacità di introspezione e di maturità che a Jeanne manca. «Lei non vuole, non può o non sa come far evolvere il suo concetto di vita» spiega ancora Brizé. «Questo la rende una persona speciale, perché la sua mente è priva di secondi fini, una persona rara, dunque, in una società che ai secondi fini è abituata. Così, proprio l'aspetto che la rende affascinante, rara e meravigliosa, è al contempo la sua condanna».

Judith Chemia è da Coppa Volpi per la miglior interpretazione femminile e Une vie, insieme con La La Land, quanto di meglio si è visto sinora alla Mostra.

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