Cultura e Spettacoli

Cangini sepolto in camicia nera per estrema fedeltà a un mondo perduto

Cangini sepolto in camicia nera per estrema fedeltà a un mondo perduto

Ha fatto scalpore da una parte e sorpreso dall'altra. Perché Franco Cangini, già direttore del Resto del Carlino e del Tempo e condirettore del Giornale con Indro Montanelli, lo si poteva definire un moderato, un liberale. Certo, un uomo tutto d'un pezzo, legato alla tradizione e a valori non molto comuni. Per non parlare della sua etica professionale. Insomma, un galantuomo. Eppure, spiazzando tutti, poco prima di morire ha detto di voler essere sepolto in camicia nera. Il figlio Andrea ha esaudito il suo desiderio e, su il Quotidiano Nazionale del quale è direttore, ha spiegato chi era suo padre e qual è la stata la spinta interiore che gli ha fatto dettare queste sue ultime volontà. La camicia nera. La ridda di reazioni scatenatesi da ogni schieramento politico e associazionistico di reduci o partigiani, si è manifestata in ogni genere di interpretazioni e commenti. Ma pochi si sono domandati il perché di questa decisione, nonostante il figlio avesse scritto a chiare lettere i motivi. Cangini non era fascista, se vogliamo proprio essere puntigliosi, anche perché quando finì la seconda guerra mondiale era un bambino. Eppure, aveva vissuto tutta la vita con una ferita dentro, perché per lui l'8 settembre 1943 aveva un solo significato: la morte della patria. A prescindere se il fascismo fosse stato una dittatura e avesse portato il Paese a una guerra disastrosa. Non era nostalgia per i tempi andati ma un puro atto di coerenza e lealtà verso se stesso, verso i valori che aveva portato dentro e sempre rispettato. Chi ha colto perfettamente questo spirito è stato Marcello Veneziani, che sul suo blog ha scritto: «Indossare la camicia nera vuol dire indossare il lutto per la patria perduta». Il lutto per un Paese allo sbando, che ha rinnegato se stesso. Un'Italia allo sfascio, che ha continuato ad andare a rotoli per oltre settant'anni, dove l'opportunismo ha preso il posto dell'onestà e dell'etica, l'inganno e il vantaggio personale il posto della sincerità e della dignità e l'egoismo e i privilegi hanno sostituito il senso della comunità. Non è nostra intenzione fare l'apologia della camicia nera, ci mancherebbe, sarebbe anacronistico. No, ci chiediamo che cosa volesse dimostrare apertamente Cangini con quella divisa che mai aveva indossato prima del suo funerale e alla quale mai aveva inneggiato. Probabilmente, come ha scritto il figlio, «Aveva fede in una cosa che non esisteva né mai potrà esistere»: l'Italia. Eppure questo sogno lo ha serbato sempre dentro e non voleva risvegliarsi. Era ancorato a principi antichi, con un senso del dovere e una coerenza ideale che non albergano più fra gli uomini di questo Paese.

E, come ha scritto ancora il figlio Andrea, «Il fatto di aver aderito a un mondo inesistente o dissolto gli ha consentito quel distacco critico che ha fatto di lui un uomo giusto e un buon giornalista».

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