Cultura e Spettacoli

Caparezza si rimette in discussione: "La mia autoanalisi in sedici canzoni"

Esce "Prisoner 709": "Dopo tanti colori, ora faccio musica in bianco e nero"

Caparezza si rimette in discussione: "La mia autoanalisi in sedici canzoni"

A far la differenza certe volte è il coraggio. Caparezza ne ha da vendere, e lo sanno tutti sin dai tempi di Fuori dal tunnel. Ora, tre anni dopo il disco di platino Museica, ha rimescolato le carte ed ecco che è diventato altro. Altro dalle aspettative ma non da sé. «Ho analizzato me stesso, è un album rivolto verso di me e non verso gli altri». Si intitola Prisoner 709, è composto di ben sedici brani che non sono per nulla di facile presa, anzi. «Ogni disco deve avere un senso. Non posso pensare se le persone canteranno o no i brani, ma se rispecchiano quello che avevo in testa».

In testa, oltre a una quantità inconfondibile di riccioli neri, Caparezza alias Michele Salvemini ha le idee chiare. Non è un rapper. Non è un cantautore alternativo per definizione. È un artista fuori dalle righe che odia «la prigionia dei ruoli». Difatti non ne ha mai avuto uno ben preciso. Nemmeno quello di musicista e compositore: «Io la musica la amo e la odio, mi ha dato tanto ma mi ha anche tolto tanto». Quindi si sente prigioniero, ma solo per modo di dire. Più che altro è libero. «Lo zero tra il 7 e il 9 del titolo in realtà deve essere considerato come la vocale o. Michele oppure Caparezza, sette lettere oppure nove». In questo dedalo di interpretazioni ci sono tutti i brani di un disco senza dubbio fuori dagli schemi, dettato da uno spirito certamente non docile ma anche dal disagio di una malattia che gli incrina l'udito e la serenità: ha l'acufene, in sostanza il fischio continuo, immancabile e inevitabile. «Perciò questo disco lo sentirete meglio voi di me, ma state tranquilli non sono depresso, anzi, sono felice», dice con una punta di malinconia mentre presenta il disco.

Dopotutto, lo fa in una ex fabbrica totalmente vuota alla periferia di Milano, un set ideale per un film di Tarantino e uno di Kubrick. Perfetto per una seduta di autoanalisi collettiva e reciproca: «La soluzione di tutto è all'interno dell'album: il pezzo che lo apre è lo stesso che lo chiude, solo che all'inizio è angosciante, mentre alla fine è felice perché ho capito che l'accettazione di tutto il casino è anche la soluzione del problema e ti porta alla liberazione».

In poche parole, Prisoner 709 (che esce per la Universal) è uno dei dischi più sperimentali e coraggiosi pubblicati da un artista «da platino» negli ultimi tempi. Durissimo, a volta, con sonorità quasi metal. Inquietante. Con solo pochissimi brani a vocazione radiofonica. «A un certo punto mi sono sentito intrappolato nella mia vita e ho voluto raccontare questo stato d'animo. Sono sempre stato ironico e giocoso, ma stavolta mi sono trovato davanti ad alcune riflessioni e le ho messe in questo album in bianco e nero, diverso dagli altri perché erano a colori». E non solo.

È diverso perché è inatteso, roboante e talvolta respingente come l'opera di chiunque si voglia davvero mettere a nudo e abbia il talento per farlo bene.

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