Cultura e Spettacoli

Quel capolavoro di Verdi nato da un colpo di fulmine

Giovanni Gavazzeni

Per Giuseppe Verdi il soggetto della Traviata fu un vero colpo di fulmine. Questa è la sensazione che colpisce sia il neofita sia il navigato frequentatore quando ascolta il capolavoro di Verdi. La ragione di tanta passione risiede nella vicenda della signora delle camelie, al secolo Alphonsine Du Plessis, che dopo aver fatto «la stiratrice, la modista, la bustaia, rapidissimamente salì ai vertici della società parigina, nella professione di mantenuta» e morì a 23 anni di tisi. Fascino autobiografico: l'autore della Signora delle camelie, Alexandre Dumas fils, ebbe con lei una relazione come l'Alfredo del dramma. E Verdi aveva sperimentato le strettezze della morale borghese del suo tempo, avendo scelto per compagna un'artista dal «passato» brillante, la soprano Giuseppina Strepponi, bersaglio dei pettegolezzi del mondo piccolo parmigiano in cui viveva.

Incontestabile che per Verdi «c'era la tentazione nuovissima di portare sulle scene un personaggio tratto, sia pure mediatamente, dalla vita del suo tempo, senza provvederlo di piedistallo, come si faceva per i personaggi dell'opera seria», come ha spiegato con mirabile argomentazione Fedele d'Amico nel suo indimenticato saggio, Il coup de foudre di Verdi (1985). Quel soggetto rivoluzionario era irresistibile, «com'è attestato dalla sua lotta ostinata, anche se destinata alla sconfitta perché unanimemente ritenuta folle, affinché Violetta e Alfredo e tutti gli altri vestissero esattamente come i loro spettatori della Fenice; ma attestato ancora meglio, è chiaro, dal risultato, cioè un'opera radicalmente abnorme (...): perché l'eroina ci appare còlta nella sua intimità direttamente, cioè senza la mediazione di quel mondo di favola che la natura del melodramma comportava».

C'è poi il grande fascino che esercita la «parte» di Violetta su ogni soprano, la quale passa gradualmente dalla vocalità brillante della mantenuta alla corda lirica dell'amorosa, e poi assume le connotazioni di soprano drammatico, morendo con dignità e abbandono eroici. «Violetta avanza nella via di divenire ciò che è: quella creatura ch'ella ha scoperto in sé stessa nel colloquio con Germont, e che strenuamente ha difeso dalle ingiurie altrui e dalla sua propria debolezza. E campeggia sola (...) Piuttosto, accanto a lei, sentiamo la presenza nostra, di noi spettatori, chiamati a raccolta da quella sorta di rullo di tamburi che all'inizio e poi nel corso del suo ultimo canto gli accordi ribattuti dell'intera orchestra pianissimo vanno evocando; e sono gli stessi del Miserere del Trovatore. Ma qui vòlti ad altro senso, di muto corteggio; nel quale volenti o nolenti ci troviamo coinvolti, irrefrenabilmente commossi. Commossi ancora oggi, pensate un po', nel bel mezzo del mondo di oggi.

E senza rossore».

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