Cultura e Spettacoli

Castiglioni, il mago dei motori che superò tutti i totalitarismi

Per alcuni era un profittatore, per altri un grande uomo d'impresa. Rilanciò la Bmw e sopravvisse a ogni regime

Castiglioni, il mago dei motori che superò tutti i totalitarismi

Pochi giorni prima del Natale 1957 i giornali annunciarono la morte di Camillo Castiglioni. «Scompare una delle più potenti figure del mondo finanziario europeo dei primi quarant'anni del secolo», scrisse La Stampa. Eppure l'Italia del miracolo economico aveva quasi dimenticato quel ricchissimo signore quasi ottantenne, morto nella solitudine della sua casa ai Parioli. Industriale e finanziere, per oltre mezzo secolo era stato uno degli uomini più stimati e odiati d'Europa. Il New York Times lo definì il «Rockefeller europeo», il teorico fascista Giovanni Preziosi ne parlò come di un «cagliostro al centro dell'eterno connubio tra giudaismo, massoneria e plutocrazia».

Nato nella Trieste austro-ungarica del 1879, figlio di un rabbino, cresce a Costantinopoli, dove apprende l'arte del commercio prima di approdare a Vienna. Ha imparato a domare l'irredentismo giovanile e a stimare l'impero sovranazionale asburgico, lasciando convivere in sé la rivendicazione della propria italianità e la fedeltà per la monarchia danubiana. Sposa, con rito ebraico, una ragazza di origine italiana che gli darà l'unico figlio maschio.

A Vienna, specchio di un'Europa che si affaccia alla modernità, nel 1906 Camillo inizia commerciando in ruote e tessuti per mongolfiere. Presto passa ai motori, avviando collaborazioni che lo trasformeranno in uno dei maggiori produttori di aeromobili dell'Impero. Ma la svolta sarà l'incontro con l'ingegnere Ferdinand Porsche, non ancora fondatore della casa automobilistica. Porsche progetta e costruisce, Castiglioni amministra: il risultato è il primo dirigibile militare austro-ungarico. Il 29 novembre 1909 i due sorvolano Vienna, lasciando i cittadini a bocca aperta, e si dirigono sul palazzo imperiale. Castiglioni riceve le congratulazioni di Francesco Giuseppe e conquista la fiducia del suo successore Carlo, con il quale stringe un rapporto che durerà sino al crollo della monarchia.

La Prima Guerra Mondiale non gli impedì - anzi - di costruire un impero personale tramite partecipazioni a società in tutta l'Europa, con gigantesche operazioni speculative. Lavora per lui anche Ernst Heinkel, inventore del motore a turbogetto. I concorrenti tedeschi cercano di estrometterlo dalla BMW, che ha acquistato trasformandola in una società per azioni di rilievo internazionale. Il New York Times arriva a definirlo «uno dei più grossi profittatori della miseria dell'Europa centrale nel dopoguerra». Lavora nell'ombra, e il figlio del banchiere Giuseppe Toeplitz lo ricorda così: «Un piccolo uomo insignificante, assai poco rappresentativo, a linee curve arrotondate: come un uovo. Parlava costruendo la frase come se traducesse letteralmente dal tedesco, con un accento spiccatamente veneto, anzi triestino. Papà affermava che era il più scaltro negoziatore che avesse mai incontrato. Non diceva mai di no, lasciando che l'avversario si affondasse ben bene per poi chiuderlo nella rete, acchiappandolo senza farlo strillare».

Coloro che creano la sua leggenda nera, però, tacciono sulla sua attività benefica e culturale. Finanzia artisti e istituzioni come la Fondazione Mozart, permettendo il rilancio del Festival di Salisburgo; nel 1916, dopo il divorzio e la conversione al protestantesimo, si sposa con l'attrice Ifigenia Buchmann, che gli darà due figlie e che lo spinge a acquistare lo storico ma cadente teatro Josefstadt, facendolo rinascere. Le sue case ospitano politici, intellettuali e artisti. «Dalle pareti del suo palazzo pendono dei Tiepolo, dei Tiziano e dei Rembrandt e decorano i soffitti delle stanze lavori di artefici italiani del '500», scrive Italo Zingarelli su quella di Vienna: «È la casa italiana del Rinascimento, la residenza degna di un non consueto banchiere-industriale, che può chiacchierare di classici della letteratura e del pennello, come di prezzi e di affari». La preziosa raccolta sarà messa all'asta nel 1924 a causa di una crisi finanziaria che lo portò quasi al fallimento per una speculazione sul franco francese, e gli frutterà oltre cento milioni di lire.

I suoi interessi in Italia crescono e quando, nel 1930, si diffonde la voce che Castiglioni si trasferirà a Milano, viene lanciato un appello pubblico per convincerlo a non partire. Lo sottoscrivono artisti come Alfred Rolle, compositori come Richard Strauss, e i vertici di tutte le istituzioni culturali viennesi. Ottenuta la cittadinanza italiana, Castiglioni collabora con il nostro ministero degli Esteri, promuovendo i legami tra l'Italia e gli Stati successori dell'Impero austro-ungarico. La sua abilità diplomatica viene sfruttata largamente anche da Mussolini, che lo ricompenserà con il cordone di Cavaliere di Gran Croce nonostante gli attacchi di chi gli rinfaccia l'origine ebraica.

Si trasferisce negli Stati Uniti già nel 1934, e alla promulgazione delle leggi razziali, nel 1938, mobilita le alte sfere, scrive al duce, redige un memoriale sulla sua vita e sui suoi meriti patriottici. La sua sorte, tuttavia, sarà la stessa di migliaia di ebrei italiani, spogliati dei diritti. Il suo nuovo orizzonte è la Svizzera, dove da sempre mette al sicuro il denaro e dove avvia una raffineria di petrolio in concorrenza con angloamericani e tedeschi. A nulla serve il suo ultimo colloquio con Mussolini, cui avrebbe detto con l'abituale schiettezza: «Faccia che l'Italia rimanga neutrale. Faremo sacchi d'oro! Se andremo con Hitler perderemo ogni cosa». La guerra, l'armistizio e l'occupazione tedesca dell'Italia trascinarono Castiglioni in un nuovo capitolo rocambolesco: raggiunse la Repubblica di San Marino, dove attenderà la fine della catastrofe spacciandosi per frate.

Con la fine della guerra, torna sulla cresta dell'onda come fiduciario di banche americane, e promuove iniziative diplomatico-finanziarie in Europa Centrale. Quando la Jugoslavia si allontana dall'Unione Sovietica, gli Stati Uniti stanziano un prestito al governo di Tito per legarlo all'Alleanza Atlantica: Castiglioni è l'uomo chiave delle trattative con il dittatore jugoslavo. Quando Belgrado non gli paga le commesse pattuite, il vecchio triestino ingaggia una coraggiosa e solitaria battaglia legale contro Tito, e la vince, facendo sequestrare i beni jugoslavi in Italia: ma è il nostro governo che, alla fine, sborsa il denaro.

La sua fu una vita di luci e ombre simile a quella del Charles Foster Kane, protagonista di Quarto potere. Eppure nemmeno il celebre dramma di Orson Welles e la vita di William R. Hearst, che lo ispirò, reggono il confronto con la storia di Castiglioni.

A dimostrare quanto la realtà superi la fantasia è il bel libro di Gianni Scipione Rossi, Lo squalo e le leggi razziali. Vita spericolata di Camillo Castiglioni, edito da Rubbettino (pagg. 288, euro 14). Risultato di una ricerca che intreccia testimonianze e documenti inediti, la narrazione di Rossi ricostruisce lo sfaccettato profilo dell'uomo e i suoi diversi mondi, in un'appassionante storia italiana nell'affresco corale di un mondo in cambiamento.

Eppure rimane qualcosa di inafferrabile e indefinibile nella vicenda di Camillo Castiglioni, forse perché racchiude tutta la drammatica e affascinante complessità dell'identità europea contemporanea.

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