"Da cattivo impenitente a giudice antimafia Il bene è più eccitante"
2 Marzo 2018 - 08:36L'attore è protagonista de «Il cacciatore» nuova fiction di Raidue in onda dal 14 marzo
La notte prima del suo incontro con Giovanni Brusca (disumano responsabile di 150 omicidi, fra cui quello di Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e del piccolo Giuseppe Di Matteo) il magistrato Alfonso Sabella non chiuse occhio. «Lo tormentava un dubbio racconta Francesco Montanari - Stringere o no la mano ad un simile mostro?». Il fatto è che anche i cattivi celano un barlume d'umanità. E perfino i buoni hanno le loro contraddizioni. E' appunto in questa zona grigia che si muove il protagonista de Il cacciatore: sei puntate (dal 14 su Raiuno, e dall'11 in anteprima su Ray Play) in cui Montanari interpreta vizi e virtù di un magistrato molto liberamente ispirato allo stesso Sabella, e al suo libro Il cacciatore di mafiosi.
Il che spiega perché, per dare il volto ad un giudice abbiano scelto una faccia da mascalzone come la sua.
«Beh: talvolta il physique du role gioca brutti scherzi. È vero: il mio ghigno è diventato celebre come quello del feroce Libanese di Romanzo criminale. E in effetti la faccia di un attore è il 90 per cento del suo lavoro. Ma esiste anche la capacità di modellarsi al ruolo. Per fare Saverio Barone (il magistrato ispirato a Sabella) ho dovuto dimagrire vari chili. E tutto perché alla domanda di un suo poliziotto, dottore: ha mangiato?, lui risponde Non ricordo. Il che lo definisce a perfezione. Un uomo così dedito al lavoro, e talmente divorato dall'ambizione, da semplicemente dimenticarsi di mangiare».
Magrezza a parte, che tipo è questo Barone? L'ennesimo eroe dell'ennesima fiction di mafia?
«Ma cos'è un eroe? E cos'è una fiction di mafia? Credo che nel raccontare di un uomo che dà la caccia ai criminali mosso soprattutto da un urgente bisogno di rispetto, e da profondo senso di rivalsa, Il cacciatore non tracci il tradizionale, stereotipato santino, la solita icona tv sul martire antimafioso. No: Barone è un eroe vero. Cioè qualunque. Difetti compresi. Nel senso che anche le persone qualunque, che fanno quotidianamente il loro lavoro secondo i principi del bene, invece di quelli del male, sono degli eroi».
Certo: fa effetto che un esperto di «cattivi» come lei (dal Ferro di Squadra Antimafia al Carminati delle intercettazioni di Mafia Capitale ne ha recitati parecchi) sentir dire che «il bene è più cool del male».
«Ma è vero! Siamo abituati a considerare il male divertente ed eccitante, mentre il bene sarebbe insipido, noioso. Ma è la giustizia, ad acchiappare veramente. E questa serie lo dimostra: il vero cool è il bene!».
Romano de Roma, ha studiato per più di due mesi con un apposito coach per imparare il siciliano.
«Di più. Per imparare a ragionare, in siciliano. Prima delle parole vengono i sentimenti, cui esse danno forma. Ma se l'emotività non è quella del siciliano, difficilmente il tuo dialetto suonerà autentico».
Lei s'è diplomato all'Accademia d'Arte Drammatica e fa molto teatro. Si diverte più in scena o su un set?
«Come non esistono attori di teatro o di cinema, ma solo buoni o cattivi attori, così non trovo differenze fra palcoscenico o teatro di posa. Anzi, no: una differenza c'è. Una volta il teatro era la verità e la fiction era lo stereotipo. Oggi talvolta - i termini si invertono».
Ma essere regolarmente collegato al Libanese di Romanzo criminale perfino quando interpreta lo Zio Vanja di Checov, la secca o piuttosto la lusinga?
«Sarei un bello stupido a seccarmi per l'immensa notorietà, perfino internazionale, che mi ha dato quel ruolo. Certo: da dieci anni in qua ho fatto anche tante altre cose... Basta che sia interpretato come un titolo di merito, e non un pregiudizio».
Ma lei nella realtà com'è davvero? E cos'ha in comune coi plateali scoppi d'ira dei suoi personaggi più temibili?
«Posso rassicurare tutti: nonostante la mia faccia sono un tipo tranquillo. Riflessivo ma anche emotivo. Socievole ma anche solitario. Lavoro sodo, leggo molto, detesto la musica a tutto volume. E sono paziente. Anche troppo paziente. Per questo, come tutte le persone miti, quando davvero perdo la calma perdo anche la testa. Allora, piuttosto che cedere all'ira, preferisco uscire di casa.
E sbollire con una bella passeggiata».
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