Cultura e Spettacoli

Ma che bella trovata: fingersi omosex per avere soldi pubblici

La doppia anima di Outing - fidanzati per sbaglio, in sala dal 28 marzo, la si intuisce subito dal cartello iniziale del film, nel quale vengono citati prima Platone e poi Antonio Cassano con il suo "Se ci sono froci in squadra, problemi loro". Una pellicola, quindi, che, come l'economia, va a due velocità

Ma che bella trovata: fingersi omosex per avere soldi pubblici

La doppia anima di Outing - fidanzati per sbaglio, in sala dal 28 marzo, la si intuisce subito dal cartello iniziale del film, nel quale vengono citati prima Platone e poi Antonio Cassano con il suo «Se ci sono froci in squadra, problemi loro». Una pellicola, quindi, che, come l'economia, va a due velocità. Da una parte, infatti, il film diretto da Matteo Vicino prova a raccontare, con taglio europeo (finalmente qualcuno che guarda anche fuori del proprio pianerottolo), il disagio sociale di tanti giovani volonterosi violentati nel merito e privati, soprattutto al Sud, di concrete occasioni per far emergere il proprio talento; meritocrazia, amicizia e disoccupazione, qui, vanno tutte di pari passo. Dall'altra, invece, cede fin troppo alla sua vena grottesca di commedia, scadendo in battute di lana grossa che sembrano prese a prestito da un qualsiasi cinepanettone, nella ricerca evidente della risata facile, tratteggiando, in maniera quasi clownesca (e irritante), l'omosessualità. Una commedia politicamente scorretta e maliziosa (Massimo Ghini dixit) dove, in realtà, emerge, alla fine, il ritratto di un'Italia costretta a diventare sempre più paracula per sopravvivere a se stessa e alle sue contraddizioni. Girato senza aver preso un solo euro di finanziamento pubblico (chapeau) e con l'ottica di doversi scontrare, da giovedì, con blockbuster del calibro di The Hoste G.I. Joe, il film (distribuito in 200 copie da AI Entertaiment), merita di essere visto, se non altro, per il coraggio e la buona volontà di tanti giovani che ci hanno messo soldi e indubbie qualità artistiche.
Sono amici fin dall'infanzia Federico (Nicolas Vaporidis) e Riccardo (Andrea Bosca). Il primo è un playboy squattrinato che si ritrova a dover allevare il fratellino più piccolo dopo esser rimasti orfani a causa di un incidente stradale; l'altro, va a Milano per coronare inutilmente i suoi sogni da stilista (finisce per lavorare come commesso), castrato da una cinica fidanzata carrierista (la sempre brava Claudia Potenza). Per accedere a un finanziamento per le coppie di fatto istituito dalla Regione Puglia, i due decidono di fingersi gay (con Vaporidis che da quel momento inizia a parlare con la zeppola anche se ha precisato che il suo accento non è una citazione di Nichi Vendola ma di Checco Zalone) con l'intento di aprire un atelier. Trovano appoggio dal direttore di «Puglia Oggi» Roberto Mancini (Massimo Ghini), gay non dichiarato, e dalla reporter d'assalto Carlotta (Giulia Michelini), che cita Ilaria Alpi e deve prendere ordini dalla raccomandata (da un trafficone locale) e senza talento Maria Luisa (Camilla Ferrari). Tra il dire e il fare c'è di mezzo un mare di guai come impareranno presto i due. Oltre ai pregiudizi, la coppia di fatto dovrà fare di tutto per superare lo scoglio del Presidente Commissione Puglia (Mia Benedetta) chiamata a verificare la reale unione tra i due per deliberare definitivamente il finanziamento.
La sceneggiatura, va detto, zoppica, ma in buona fede. Il desiderio di trattare tanti temi finisce per incastrare, a forza, personaggi e situazioni che avrebbero meritato un trattamento diverso. Ciò che guasta, invece, sono gli agghiaccianti giochi di parole e le battute a doppio senso del tipo «La Puglia non ha solo le orecchiette ma anche gli orecchioni», «Ci piacciono le ispezioni», «Tra noi c'è un'amicizia profonda, molto profonda»; roba da caserma, insomma. Le buone intenzioni di partenza e l'idea di fondo decisamente accattivante finiscono, così, se non per naufragare, certamente per annacquarsi in questa parte centrale che si livella troppo verso il basso, ammiccando eccessivamente alla risata facile del pubblico in sala. Non è un male, sia chiaro, ma il taglio europeo, di cui sopra, finisce rapidamente per rientrare, purtroppo, nei canoni di certe nostre commedie al ribasso che sembrano fatte in serie.
Resta, comunque, la buona impressione del piglio narrativo di Matteo Vicino, un regista che ha un futuro brillante dinanzi.

Soprattutto, se penserà meno all'esame box office e ad avere più convinzione nelle sue evidenti qualità.

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