Cultura e Spettacoli

Che gran tesoro le «Lettere» di Suso Cecchi

«Ti ho raccontato dell'ultimo soprannome che ho dato a Soldati? A Imola in una scuola hanno dato a dei bambini un tema: Che cosa avete fatto nella vita? Uno ha riconsegnato il foglio con Svolgimento: Tuto. Soldati dice che è proprio lui questo, un Tuto con un t solo». Nelle Lettere (Bompiani) che Suso Cecchi scrisse dal dicembre del 1945 al marzo del '47 al marito, uno dei massimi storici della musica e critici musicali, Fedele d'Amico, ricoverato ad Arosa per guarire da una perniciosa tubercolosi, si racconta anche come il cinema italiano rinascesse vitale fra le macerie della realtà. Quasi per caso la figlia di Emilio Cecchi diventa la sceneggiatrice cui tutti ricorrono, mentre nella casa di via Cantore (Roma, quartiere Clodio) circolano, discutono, lavorano, mangiano e dormono un devotissimo Flaiano, l'ipocondriaco Castellani, l'indeciso Zampa; appare la Magnani, animalesca e magnetica, vigila Carlo Ponti, Nino Rota è un magico coabitante incaricato di catturare bagarozzi. La solitudine di Aldo Fabrizi e la morte di Alfredo Casella, gli incontri decisivi con Eduardo e Visconti, le serate letterarie in casa del babbo con i «soliti» (Moravia, Brandi, Ungaretti, De Libero), le gite all'opera, si contrappuntano al razionamento di acqua e luce, alle galline che fanno l'uovo sul terrazzo, alla carne che arriva a 1000 lire al kilo, al Referendum.

Insomma, «sta per scoppiare il dopoguerra», che potrebbe essere benissimo il titolo di questo libro, affettuoso e rivelatore, curato con amore competente dai figli di Suso e Lele, Silvia e Masolino d'Amico.

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