Cultura e Spettacoli

Che passione lirica in Antonio Pappano

L'ipertrofia degli elogi non stupisce, soprattutto quando provengono dagli interessati, a uso e consumo di gazzettieri e uffici propaganda. Quasi non ci si fa più caso a strillate come: la migliore stagione degli ultimi cinquant'anni, il più grande direttore pucciniano vivente (defunti, non a caso, esclusi). Con quest'andazzo anche il superlativo, nemmeno più relativo, è sceso al valore di aggettivo qualificativo (impotente). Mai però queste affermazioni escono dalla bocca da chi avrebbe titolo o medaglie specifiche da apporsi sul petto. È il caso, per esempio di Antonio Pappano e del suo rapporto congeniale con il teatro di Puccini, testimoniato dalle numerose incisioni discografiche fra Bruxelles, Londra e Roma, e dai dvd che riportano i recenti spettacoli nel teatro dove è direttore musicale, il Covent Garden di Londra. Flagrante la statura dell'interprete nel primo capolavoro pucciniano, Manon Lescaut (Sony), grazie alla collaborazione dell'asso tenorile Jonas Kaufmann che ha tutto - leggerezza nell'approccio amoroso e resistenza drammatica - e della generosità vocale di Kristine Opolais (che bello sentire che ha ascoltato e tratto partito dalla grande Renata Tebaldi). Perfino la messa in scena, solita trasposizione attualizzante con sovrappiù di gusto sgradevole, dovuta al regista Jonathan Kent, non impedisce al fiume di passione lirica e musicale che quest'opera solleva di scuotere (alla fine degli atti e dell'opera) anche i civili sudditi di Elisabetta II.

Niente panegirici questa volta: solo per invertire la tendenza alla lauda stolida e la deriva superlativa.

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