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Chi dice se l'opera è vera o falsa? Non certo il perito del tribunale

L'unico che può dire se è autentica è lo stesso artista Il caso del «Cannone» di Pino Pascali, a rischio distruzione

Chi dice se l'opera è vera o falsa? Non certo il perito del tribunale

Ai lettori che si sono appassionati al tema delle attribuzioni delle opere d'arte e relative perizie, e delle diverse capacità degli esperti chiamati dai tribunali (spesso assoluti incompetenti, pronti a vaneggiare indifferentemente su Modigliani come su Schifano, su Morandi come su De Dominicis) voglio sottoporre l'ennesima insensatezza di una assoluta, e (lei sì) riconosciuta inesperta, che si è pronunciata per la inautenticità di una opera di Pino Pascali (1935-68), pittore così sofisticato da non poter essere giudicato da persone che non abbiano lunga confidenza con la sua complessa esperienza estetica. Esiste anche un rischio: che, con una dichiarazione improvvida e leggera, non si confonda solo una opera vera con una falsa, ma si rischi di perderla. Ecco infatti l'imprevedibile paradosso: se dichiarato falso, il Cannone di Pino Pascali, di cui è in discussione l'autenticità, verrà distrutto.

Sarà, cioè, eliminata un'opera d'arte degli anni Sessanta come accertato dalle analisi diagnostiche sinora condotte - di straordinaria potenza e genialità, anticipatrice di soluzioni che caratterizzeranno la produzione successiva di Pascali, cui la stessa Maria Stella Margozzi («esperta» del tribunale senza alcuna specifica competenza su Pascali) attribuisce una indiscutibile «forza pittorica», tanto da proporre un peraltro superficiale paragone con Burri. La sua dichiarazione di non autenticità, con tutto ciò che di irrimediabile implica per il Cannone di Pino Pascali, è affidata a una perizia priva di fondamento documentale e autorevolezza scientifica. E certo nessun conforto alle tesi sostenute dall'inesperta può venire da una analisi del Cannone effettuata con il solo ausilio di una lente di ingrandimento. Non è dimostrabile da nessuno che il Cannone sia frutto di un'imitazione del modus operandi di Pascali, ovvero di una mano diversa da quella che in epoca successiva ha compiuto il riconosciuto Ciclo delle armi.

Pino Pascali, come altri artisti della sua epoca, era un geniale sperimentatore e, come tale, difficilmente classificabile e riconoscibile per stereotipi. Nel caso di un artista così difficile sarebbe stata prova di onestà intellettuale riconoscere l'inadeguatezza o la insufficienza degli studi inerenti la prima produzione di Pino Pascali e l'ineludibile necessità di un approfondimento, prima di pronunciarsi su una materia così scivolosa. A questo proposito, ancora, l'inesperta nominata dal tribunale avrebbe dato prova di responsabilità, nel giudizio, se avesse tenuto nella dovuta considerazione la perizia di Augusta Monferini, che, con la sua esperienza e storica frequentazione dell'artista, ha confermato l'attribuzione del Cannone a Pascali. Con quale equilibrio può il tribunale accettare la perizia di una confusa «esperta» contro quella che fu la direttrice della Galleria d'arte moderna di Roma che accolse nel museo le opere dell'artista, suo coetaneo, conosciuto e frequentato?

La considerazione, poi, che il Cannone di sia falso «perché non fa ridere» è inconsistente; o, meglio, risibile. Questa è, nella sostanza, la sola argomentazione avanzata a sostegno della non autenticità dell'opera. Ma se ci si volesse calare nella esigenza ludica evocata dalla Margozzi, ricercando il carattere ironico della rappresentazione, eccolo farsi strada nel Cannone, argutamente celato sotto la scorza ferrigna della macchina bellica. Cito le parole della stessa: «Il Cannone con il suo essere fatto a imitazione del ferro vuole effettivamente dare l'impressione di essere un'arma attiva»: peccato, però, che l'arma in questione sia puntata in una direzione, mentre gli squarci che costituirebbero gli «effetti della sua azione bellica» appaiano dietro di essa. Pascali qui davvero mette a punto una sorta di macchina celibe di duchampiana memoria, un giocattolo inutile, inoffensivo perché non può sparare. La potenza distruttrice del cannone viene vanificata dalla mancanza di precisione del congegno... Ecco dunque quell'ambiguità giocosa che, nella istanza della Margozzi, costituirebbe un aspetto immanente al mondo creativo di Pascali.

Che dire poi del fatto che il Cannone sarebbe falso perché di «sospetta storicità», perché le sue «patenti» sono state acquisite in un tempo troppo breve rispetto al periodo di esecuzione (1965-1966), ossia dal 2011 (data di archiviazione) al 2015 (data di vendita)? Un'affermazione stravagante e priva di fondatezza. Che il perito, anziché sbandierare le sue asserzioni di correttezza etica, faccia il perito! Senza preconcetti, onestamente. E là dove è impossibile dichiarare un'opera falsa, per l'assenza di elementi inconfutabili, ammetta umilmente l'impossibilità di giudicarla.

Va inoltre aggiunto un dato clamoroso: che, da oggi, nessun tribunale chiamato a pronunciarsi su questa materia, può ignorare. La sezione specializzata in materia d'Impresa del Tribunale di Roma, con la recente sentenza n. 13461 del 26 giugno 2019, ha dichiarato inammissibile la domanda finalizzata al mero accertamento della non autenticità di un'opera d'arte. Il collegio giudicante ha accolto pienamente l'eccezione sollevata dalla difesa circa l'inesistenza nell'ordinamento italiano di un autonomo «diritto all'autenticazione», nonché l'assenza di un potere declaratorio di autentica, configurabile in capo all'autorità giudiziaria, affermando che «l'azione di accertamento non può avere ad oggetto, salvo i casi eccezionalmente previsti dalla legge, una mera situazione di fatto, ma deve tendere all'accertamento di un diritto che sia già sorto, in presenza di un pregiudizio attuale e non meramente potenziale». Ciò significa che è possibile richiedere all'autorità giudiziaria l'emissione di un provvedimento volto ad acclarare determinate circostanze di fatto, a condizione che queste comportino un vantaggio o una lesione concreta ed attuale, e non potenziale, all'interesse sostanziale che la parte deduce in giudizio.

L'unico soggetto deputato a stabilire l'autenticità di un'opera d'arte, ha rimarcato il Tribunale, è l'artista che l'ha realizzata. Il diritto di attestazione dell'autenticità non spetta neppure agli eredi. Alla morte dell'artista l'autenticità delle opere può essere oggetto di vari expertise, che possono essere da chiunque rilasciati nel l'esercizio di un diritto alla libera manifestazione del pensiero (art. 21 della Costituzione). E non si intende perché dovrebbe prevalere la perizia di un esperto, senza specifica competenza, scelto a caso dal tribunale.

Procedere, pertanto, a un accertamento in termini di verità in sede giudiziale si concretizzerebbe solo nel conferimento di maggiore valore a un determinato parere a discapito di un altro, producendo così un'alterazione delle peculiari dinamiche che contraddistinguono il mercato dell'arte. E una violazione grave della libertà di opinione e del diritto di errore, in buona fede, senza dolo, sempre garantiti dall'art. 21 della Costituzione.

E adesso, pover'uomo?

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