Cultura e Spettacoli

"Chi non ci mette la faccia manda in rovina la società"

Il teorico del Cigno nero: «Rischiare grosso serve a evolvere. E chi commette errori deve pagare»

"Chi non ci mette la faccia manda in rovina la società"

Dice Nassim Taleb: «Non conta ciò che si possiede ma ciò che si rischia di perdere». Vero è che lui, il teorico del Cigno nero, ovvero l'«evento imprevedibile» dall'impatto devastante, è molto ricco: oltre che filosofo e matematico, questo cinquantottenne libanese naturalizzato americano è operatore di borsa. Insegna a New York e a Oxford e, dopo il bestseller Il Cigno nero (Il Saggiatore, 2009) ha continuato ad analizzare la realtà, non solo finanziaria, in cui viviamo: il risultato è nei saggi del ciclo Incerto, ovvero «un'indagine su elementi come l'opacità, la fortuna, l'incertezza, la probabilità, l'errore umano, il rischio e il processo decisionale nelle situazioni in cui non comprendiamo il mondo». L'ultimo è Rischiare grosso (Il Saggiatore, pagg. 340, euro 24), in cui Taleb riesce a collegare: come il Cigno nero sia diventata una scusa per coprire le proprie mancanze; come mai Trump abbia vinto le elezioni; perché gli intolleranti abbiano sempre la meglio; come riconoscere gli «intellettuali idioti» (non fanno mai sollevamento pesi...) e perché, alla fine, quello che bisogna avere è un po di Skin in the Game (titolo originale), ovvero «metterci la faccia».

Nassim Taleb, perché questo titolo?

«Lo diceva già il Codice di Hammurabi: un architetto che costruisca una casa, o un ponte, poi non può filarsela. Se il ponte crolla deve pagare».

Quindi?

«Quindi ciascuno deve assumersi i propri rischi. Tutte le persone comuni, da sempre, capiscono che cosa significhi rischiare. E invece oggi succede che qualcuno possa costruire una casa e trasferire i rischi ad altri. Cioè: loro vincono, e gli altri pagano».

Pensa ai banchieri? Ai politici?

«Ha presente l'ex segretario del Tesoro americano Bob Rubin? Prima della grande bolla, il crac del 2008, ottenne una compensazione di 120 milioni di dollari da Citybank. Poi però Citybank è stata salvata dai risparmiatori: chi ha pagato le tasse ha pagato anche il suo bonus... Loro guadagnano i soldi, noi paghiamo il prezzo».

La soluzione quale sarebbe?

«L'idea di base del libro è che, per ragioni epistemologiche, oltre che etiche, le persone devono assumersi i propri rischi e le proprie responsabilità, altrimenti l'evoluzione si inceppa. Uno sbaglia, e impara. E chi ottiene dei benefici paga un prezzo per questo».

Chi non paga?

«I falsi esperti, per esempio. A un certo punto, i falsi esperti dicono che dobbiamo fare la guerra in Iraq. Ora, i falsi esperti morirebbero - o potrebbero morire - se partecipassero alla battaglia».

Però non partecipano.

«Ecco. Metterci la faccia è il filtro: le persone non pagano per i loro errori, altri pagano al posto loro. Questa è la prima generazione da millenni in cui chi proclama una guerra non va in battaglia: Giulio Cesare era in prima linea, molti imperatori romani sono morti in battaglia. Oggi no. Ma se non ti prendi la responsabilità dei rischi - finanziari e fisici - la società non funziona».

Però alcuni usano come alibi proprio il Cigno nero, che lei ha teorizzato. Si giustificano dicendo: «Era imprevedibile».

«Sei comunque responsabile: è così che funziona l'evoluzione. Non puoi dare la colpa all'incertezza della realtà, se poi non paghi di tasca tua».

Chi dovrebbe metterci la faccia?

«Tutti. In Italia la maggior parte delle persone ci mette la faccia. L'idraulico, o il dentista, se sbaglia paga. Questo però non vale per la maggioranza dei politici, soprattutto quanto più la struttura è centralizzata».

Bisogna decentrare?

«Più le decisioni sono decentrate, più prevale, nella comunità, il senso della responsabilità. È una questione di scala: se metti insieme duecento persone, agiranno mettendoci la faccia; se passi da duecento a 300mila non funziona più. Il comportamento cambia nella collettività».

Chi sono gli «intellettuali idioti»?

«Tutti i burocrati e gli accademici che non si prendono rischi. Non hanno contatto con la realtà: se sbagliano non vengono puniti».

In che senso?

«Qualsiasi ambito in cui si venga giudicati da propri pari è lontano dalla realtà: e quindi è destinato a degenerare. Come con i ristoranti: se un ristorante è giudicato da altri ristoratori, o da giornalisti, quelli che otterranno i voti migliori non saranno quelli in cui la gente ama davvero mangiare».

È sicuro sia sempre così?

«Un dentista è giudicato da altri dentisti, o dai clienti? E un idraulico? Se rischi vuol dire che sei adatto alla realtà. Un burocrate o un accademico non lo sono».

Non sta generalizzando troppo?

«Non lo so. Il problema è che manca il filtro».

Che cos'è il potere della minoranza?

«Qualcosa che gli intellettuali idioti non capiscono, perché pensano che la totalità agisca come la somma dei singoli individui. Invece no: la totalità può essere determinata da una piccolissima minoranza».

Come il 3 per cento?

«Anche meno. Per esempio, sul cibo halal è solo l'uno per cento a decidere per tutti. A volte il 3-4 per cento della popolazione può determinare tutta la tua vita».

Per esempio?

«Le credenze religiose: non si può mangiare maiale a scuola... Questo problema non è ben compreso nelle sue conseguenze».

Fra cui c'è la vittoria degli intolleranti?

«Se la minoranza è intollerante, la maggioranza la segue. Il risultato è il governo della minoranza».

Come si contrasta?

«Non con gli annunci naif degli intellettuali idioti. Per loro è troppo complesso. Non capiscono che, se porti l'uno per cento in una città, la città intera cambierà. Quindi devi capire di che minoranza si tratta».

Nel libro racconta che, quando vide Trump fra gli altri candidati alle primarie, pensò che avrebbe vinto. Perché?

«A molti Trump non piace, odiano lui e ciò che rappresenta. Per gli intellettuali idioti è la vittoria del populismo, che poi è quando le persone votano quello che a loro non va bene».

Si spieghi.

«Gli intellettuali idioti vogliono decidere come le persone devono votare: se fanno come vogliono loro, è democrazia; se invece votano al contrario, è populismo».

E il successo di Trump?

«Trump è un uomo che ha perso un miliardo di dollari. Se perdi dei soldi, soldi tuoi, significa che ci hai messo la faccia. E questo le persone lo percepiscono subito. Lo sentono. Vedono che hai delle cicatrici. Trump a me non piace, ma il problema non è lui».

Il problema è come molti lo vedono?

«Esatto. Dimentichiamoci di lui: il punto è che non è un burocrate.

E a molte persone questo piace».

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