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Chuck Berry, talento e follia: ora il rock è rimasto orfano

Con pezzi come "Johnny B. Goode" e "Roll over Beethoven" ha cambiato la storia della musica. Ispirando tutte le star

Chuck Berry, talento e follia: ora il rock è rimasto orfano

E pensate che è pronto il suo primo album dopo quarant'anni. Ora che si è spenta la buriana di dichiarazioni post mortem, tutte giustamente enfatiche e commosse, resta da chiedersi quale posto abbia lo spilungone Chuck Berry da Saint Louis Missouri nella storia del rock'n'roll. Probabilmente il primo. Non contano tanto le date di pubblicazione, visto che lui, come Carl Perkins, Bo Diddley, Jerry Lee Lewis (ancora vivo) e Little Richard (idem) hanno iniziato a incidere 45 giri più o meno contemporaneamente. Contano i ruoli. Chuck Berry è stato «il rock», ha riassunto sia musicalmente che iconograficamente l'idea del rock come esibizione virtuosa di contestazione e rottura degli schemi senza per forza annullarli.

Era avanti, non contro.

Sarà che aveva iniziato a suonare il blues e poi, per pagare le bollette, si era ritrovato anche a cantare country. O sarà che non bisogna essere per forza distruttivi per cambiare le regole: spesso basta conoscerle a menadito per poterle rinnovare daccapo. Non a caso, la sua prima Maybellene del 1955 diventò un successo gigantesco proprio perché accostava la metrica country con l'abilità virtuosa del rhythm'n'blues in modo sorprendente e irresistibile. Dopo arrivarono Roll over Beethoven, School day, Rock'n'roll music e Johnny B. Goode a confermare quella partitura totalmente inedita nella storia della musica che Elvis Presley stava traghettando nel mainstream popolare. Intanto a far la differenza erano i testi che Chuck Berry scriveva in modo primitivo e istintuale, molto legati a pulsioni giovanili per la prima volta ribelli e a quella cosa che poi fu chiamata consumismo. Poi c'era l'uso della chitarra, trasformata nell'ascia di una guerra musicale che avrebbe annientato quasi tutto il resto. La sua preferita era una Gibson ES 335 color amaranto e dal vivo non si limitava a suonarla. La maneggiava, la manipolava, la faceva piangere o ridere in modo selvaggio proprio come Jerry Lee Lewis faceva con il proprio pianoforte, una vampata di peccaminosi sensi passionali.

E, mentre suonava, si muoveva con un passo diventato celebre come poi il «Moon walk» di Michael Jackson: il «Duck Walk», il passo dell'anatra che Angus Young degli Ac/Dc ha portato a limiti fisici difficilmente eguagliabili. Tecnicamente Chuck Berry non era un accademico virtuoso però la virulenza dei suoi riff e la forza degli assoli lo ha piazzato al settimo posto tra i 100 migliori chitarristi di sempre. Infine c'era la sua vita personale, la vita di un ragazzo di famiglia borghese finito al riformatorio da ragazzino, sposato da bravo ragazzo, raccomandato dall'eterno Muddy Waters e infine perso dietro ai fatti suoi, peraltro spesso malandrini (tre anni di galera per essersi accoppiato con una minorenne e poi svariati processi per deviazioni sessuali o voyeuristiche).

Viveva nel proprio mondo, e spesso era un mondo a se stante. Mentre era dietro le sbarre, i Beach Boys nel 1963 copiarono la sua Sweet little sixteen trasformandola nell'enorme successo Surfin' Usa (solo dopo gli pagarono un milione di dollari per plagio). Quando uscì era sempre il padre del rock'n'roll ma ci fu bisogno dei Beatles, degli Animals e dei Rolling Stones (che in Europa suonavano i suoi brani) per riportarlo sotto i riflettori. Da lì non se ne è più andato soprattutto per merito degli altri che ininterrottamente lo hanno citato come pioniere e ispiratore. Se ieri Keith Richards dei Rolling Stones ha scritto che «si è spenta una delle mie luci più grandi», già quarant'anni fa John Lennon disse che «se volete chiamare il rock in un altro modo, chiamatelo Chuck Berry». Nel frattempo lui era diventato il portavoce di se stesso, suonando ovunque (anche al Primo Maggio 2007) apparendo ovunque (anche al Fantastico di Celentano 1987) e incidendo addirittura un disco a novant'anni.

Uscirà dopo la sua morte, intanto la sua icona resterà viva, come capita a chiunque, per talento e fortuna, si trovi al posto giusto nel momento giusto per cambiare la storia.

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