Cultura e Spettacoli

Il Cinquecento a Firenze, "lascivo" e devoto

Davanti al Dio Fluviale di Michelangelo, un corpo adagiato in torsione perfetta, con muscoli e tendini e carne d'argilla, fino a oggi ricoperto di polvere e vernici nei depositi del museo di Casa Buonarroti e ora tornato lucente di quel bianco così simile al telo del Compianto su Cristo Morto di Andrea del Sarto, si può solo restare in silente contemplazione.

Il Cinquecento a Firenze, "lascivo" e devoto

da Firenze

Davanti al Dio Fluviale di Michelangelo, un corpo adagiato in torsione perfetta, con muscoli e tendini e carne d'argilla, fino a oggi ricoperto di polvere e vernici nei depositi del museo di Casa Buonarroti e ora tornato lucente di quel bianco così simile al telo del Compianto su Cristo Morto di Andrea del Sarto, si può solo restare in silente contemplazione. Si apre con questi due capolavori Il Cinquecento a Firenze. Maniera moderna e controriforma (fino al 21 gennaio) a Palazzo Strozzi di Firenze. La seconda sala è occupata da un «tris delle meraviglie»: per la prima volta una accanto all'altra la celeberrima Deposizione dalla croce di Volterra - colori sgargianti, sfondo astratto, corpi che paiono geometrie del Rosso Fiorentino; la Deposizione di Santa Felicita del Pontormo, soave nei suoi rosa pastello grazie al recente restauro; e il Cristo deposto del Bronzino che, col suo cielo color zaffiro, arriva dal museo di Besançon e dopo mezzo millennio ritorna nella Firenze in cui fu concepito. Un confronto valorizzato dalla scelta di togliere le cornici delle tre pale a favore di un allestimento essenziale. La tentazione di fermarsi qui è forte. E invece il punto della curatela di Carlo Falciani e Antonio Natali sta proprio qui: queste meraviglie non sono abbastanza per farci capire quanto poliedrico e affascinante fu il secondo Cinquecento fiorentino. Fuori dal limbo cui era relegato nei libri di storia dell'arte, si mette in mostra per ciò che è: un periodo di fermento, di arte dalla «maniera moderna», perché sotto Francesco I de' Medici, mecenate dotto di scienze e di lettere, si pensava sì a rispondere in modo rigoroso alla riforma luterana ma non si dimenticavano gli insegnamenti della accademie del disegno, il guizzo intellettuale, l'amore per l'antico e l'innovazione.

Capita solo a Firenze di avere una «controriforma» così. Lo dimostrano i 70 dipinti e sculture, suddivisi in otto sale, di una quarantina di artisti: Vasari, Giambologna, Alessandro Allori, Federico Zuccari... Con quattro anni di preparazione, un'ingente campagna di restauri (su 17 opere, tra cui il Michelangelo) e qualche sassolino da togliersi dalle scarpe («Lo Stato dovrebbe fare questo genere di mostre», dice Natali), Palazzo Strozzi ospita l'ultimo atto di una trilogia sul Cinquecento che valorizza un tassello della storia dell'arte a torto ritenuto minore. Un mosaico che include i colori sgargianti di Francesco Salviati e di Pietro Candido, la perfetta costruzione geometrica del Vasari pittore, l'esasperata cura del dettaglio dell'Allori, la modernità delle sculture del Giambologna (la sua Venus Fiorenza che si strizza i capelli pare muoversi), la licenziosità seducente di Zucchi, la devozione del Cigoli. E l'esuberanza di Santi di Tito fiorentino doc da riscoprire che nella Visione di San Tommaso d'Acquino dipinge una crocifissione che diventa scena teatrale.

Da questo Cinquecento sacro-e-profano nascerà il Barocco.

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