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Colin Farrell nella Chicago di "Widows": "Adoro le donne, le vorrei al potere"

L'attore in un ruolo secondario nel nuovo film dell'Oscar McQueen

Colin Farrell nella Chicago di "Widows": "Adoro le donne, le vorrei al potere"

Dici Colin Farrell e subito pensi a uno degli attori più amati di Hollywood. In 20 anni di carriera ha lavorato con i migliori registi in circolazione. Da Steven Spielberg a Woody Allen passando per Michael Mann, Oliver Stone, Joel Schumacher e Terrence Malick, solo per citarne alcuni. Con Widows: Eredità Criminale, film in uscita domani, Farrell aggiunge una tacca alla sua cintura da star. A dirigerlo infatti c'è un altro genio della settima arte: Steve McQueen, regista premio Oscar nel 2013 con 12 anni schiavo.

Pur di lavorare con lui l'attore irlandese, oggi 42enne, ha accettato un ruolo secondario, quello di Jack Mulligan, figlio di Tom Mulligan, che nella pellicola è interpretato da un altro gigante del cinema, Robert Duvall. Qualcuno sostiene che un attore del suo calibro non dovrebbe accettare ruoli secondari: «Sinceramente spero di non diventare mai quel tipo di attore. Anzi, voglio fare il maggior numero possibile di personaggi differenti - risponde Farrell - Un cameo, un ruolo di supporto: se mi viene data l'opportunità io accetto e basta, perché è quello che amo fare». E l'ha sempre pensata così: «Il motivo per cui ho deciso di fare l'attore da ragazzino è che sono sempre stato più creativo che scientifico. Ho sempre avuto una spiccata curiosità di sapere cosa tiene insieme le famiglie, cosa le divide, quale sia la natura della nostra società. Per questo l'attore era l'unico mestiere possibile». Un mestiere non da tutti. Alla domanda se si senta un privilegiato, ammette: «Sì, perché lo sono. Recito da 20 anni e solo il fatto di riuscire a mantenermi con questo lavoro è incredibile, soprattutto considerando che c'è il venti per cento di disoccupazione nel settore». Ma crede di essere arrivato? «Mai, non ci si può mai sentire arrivati. Ed è una delle cose più belle e spaventose di questo lavoro, che ti tiene sempre vivo e fresco. Oggi mi diverto molto di più rispetto al passato». E non solo perché senta di avere più libertà di scegliere: «In realtà - dice - l'ho sempre fatto. Ho lavorato con Woody Allen, Terrence Malick e Michael Mann. Joel Schumacher mi ha scelto dal nulla e mi ha dato un ruolo principale lanciandomi, di fatto, a Hollywood. E anche se alcuni film non hanno funzionato, io comunque mi sento molto fortunato».

Farrell spiega anche che cosa significhi recitare in un film pieno di donne, come Widows: «Il mondo sarebbe un posto migliore se le donne ne fossero in totale controllo. Io le adoro. Noi uomini siamo molto più basici, più aggressivi e concentrati su noi stessi. Non che le donne non lo siano, sarebbe sessista sostenerlo, ma osservare al lavoro attrici e registe come Sofia Coppola, Nicole Kidman o Viola Davis lascia sempre tutti a bocca aperta. Un motivo ci sarà». E finalmente sembrano averlo capito anche a Hollywood... «Era ora. Prendete Wonder Woman: diretto da una donna, con una donna come protagonista e con la parola donna nel titolo. È la santa trinità delle donne. Anche questo dimostra come il mondo stia cambiando. E le cose devono cambiare». Può il cinema portare a dei cambiamenti all'interno della società? «Assolutamente sì - risponde Farrell - e anch'io sento di farne parte. In particolare grazie a questo film. Parla di Chicago, del cuore dell'America e del mondo civilizzato e l'evoluzione purtroppo non ha solo aspetti positivi. Spesso non coinvolge tutti ma solo coloro che si trovano nei piani alti della piramide sociale. Widows affronta proprio questo aspetto: c'è un sacco di bruttezza nel mondo. La storia insegna che l'uomo non impara mai dagli errori del passato. Certo, la tecnologia migliora, impariamo a costruire cose incredibili ma queste non sono necessariamente più significative». Un riferimento all'attuale situazione politica in America? «Non ci vuole uno scienziato per capire quanto sia alto oggi il livello di cattiveria e discordia - conclude - La discordia ci sta, per carità, ma non deve essere pericolosa.

È la diffidenza a essere pericolosa, per questo dobbiamo ostracizzarla».

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