Mario Cervi

Quel commento profetico sul nostro "Giornale" dedicato ai magistrati

Uscì sul primo numero del 25 giugno 1974 ed era intitolato "Le tre piaghe della giustizia". Analizzava la paralisi del nostro sistema. E sembra scritto ieri

Mario Cervi riceve un premio al Quirinale (2001)
Mario Cervi riceve un premio al Quirinale (2001)

Ripubblichiamo il primo pezzo che Mario Cervi scrisse per il Giornale, sul primo numero del quotidiano, il 25 giugno 1974 di Mario Cervi.

La giustizia italiana, vicina alla paralisi, è minata da tre diverse malattie, tutte gravi e tutte difficilmente curabili. Soffre delle disfunzioni e degli acciacchi che affliggono l'amministrazione pubblica. È insidiata dalla politicizzazione, che si traduce in disunione e in scarsa credibilità dei magistrati. Porta il peso sempre meno sopportabile, con il mutare della società, dell'antico accademismo, di un formalismo lento, puntiglioso e, per l'uomo della strada, incomprensibile.La macchina della legge non funziona perché l'intero apparato burocratico non funziona. La Costituzione, le enunciazioni solenni del potere politico, le rivendicazioni dei magistrati affermano che la giustizia ha una posizione peculiare ed autonoma. La realtà è diversa. I giudici italiani sono assimilabili, per i criteri di scelta, la provenienza, la formazione culturale, il costume, alla generalità dei funzionari statali. Sono scelti per concorso e possono diventare magistrati in età giovanissima, con il corredo scolastico di una laurea in giurisprudenza vengono nella quasi totalità dal meridione, possono essere in possesso, quando cominciano, di discrete cognizioni tecniche. Mancano di esperienza di vita. Non hanno mai messo alla prova le loro doti di equilibrio, di integrità, di operosità. Come gli altri funzionari statali sono praticamente illicenziabili, e non punibili se non in casi estremi.L'amministrazione giudiziaria non è povera di giudici, tutt'altro. Li distribuisce male, favorendo le sedi del sud a scapito di quelle del nord, mantenendo in vita tribunali e preture superflui, «distaccando» i magistrati, per le più svariate funzioni, presso ministeri o enti pubblici. Non difettano i giudici, ma gli ausiliari del giudice e le attrezzature tecniche. In ogni campo, l'Italia continua ad avere eserciti con molti generali, e il fucile 91. I magistrati sprecano il loro tempo in funzioni esecutive, o burocratiche, dalle quali dovrebbero essere sollevati, delegandole ai loro collaboratori.Scatenata la guerra alla meritocrazia, eliminate le promozioni a scelta, che comportavano favoritismi, ma consentivano almeno ad alcuni tra i migliori di emergere, i magistrati arrivano tutti in Cassazione. Todos caballeros. Questa automaticità dell'avanzamento scoraggia gli ambiziosi entro certi limiti la ambizione è una qualità positiva e non favorisce lo zelo. E anche qui siamo nella logica della evoluzione burocratica.Di suo, la magistratura ci aggiunge la politicizzazione. Le correnti della magistratura tendono a diventare il riverbero settoriale di ben individuabili partiti. Le polemiche che corrono tra l'una e l'altra corrente sono, se possibile, ancora più aspre di quelle che si sviluppano in parlamento. I magistrati più esposti o più impegnati agiscono con la claque, o tra i fischi. Vi sono magistrati che non esitano ad associarsi alle tesi degli extra-parlamentari, dimostrando una strana disinvoltura nell'essere ribelli allo Stato e stipendiati dallo Stato. È certo che il conformismo opaco di taluni anziani giudici appariva sordo alla voce dei tempi nuovi, ma è altrettanto certo che talune sentenze dei tanto osannati pretori d'assalto e ve ne sono di assai degni, intendiamoci hanno il tono di manifesti rivoluzionari, più che di apprezzamenti imparziali.Il cittadino che sia coinvolto in un giudizio con addentellati politici o parapolitici e il loro numero si è oggi ingigantito, perché questo sottofondo è rintracciabile anche nella vasta casistica dei rapporti sociali ha il legittimo sospetto che avrà regione o torto secondo che il suo pretore sia d'assalto o di retrovia. Indaffarati per le lotte dì corrente, per le partecipazioni a dibattiti, per gli articoli sulle pubblicazioni specializzate o no, troppi magistrati hanno scarso tempo per la grigia, ma preziosa routine. Aspettano la salvezza della giustizia da una catarsi rivoluzionaria, e intanto trascurano i miglioramenti lenti e faticosi.Infine la giustizia non riesce a liberarsi di codici vecchi, di procedure asmatiche o diventate asmatiche nella interpretazione che gli oltre 40mila avvocati italiani hanno suggerita, e che i magistrati hanno subita degli eccessi di un apparente garantismo che, per tutelare perfettamente ogni diritto, finisce per non tutelare il diritto essenziale, quello ad avere giustizia presto. Un parlamento gremito di avvocati ha agito, per la giustizia, con l'occhio attento a esigenze corporative piuttosto che alla funzionalità del sistema. Lo si voglia riconoscere o no, il cavillo fa aggio sul diritto.Questi i tre cappi che strangolano la giustizia, e insieme strangolano l'utente della giustizia. Non il «grande» utente, le società ricche e potenti che sfuggono alla legge ordinaria e si rifugiano nella giustizia privata degli arbitrati.

La vittima è il cittadino qualunque, indifeso e impotente.

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