Cultura e Spettacoli

Così i soldati italiani scivolarono all'inferno: nei lager di Stalin

A Piacenza un incontro con filmanti inediti per riscoprire la storia dei reduci dell'Armir

Così i soldati italiani scivolarono all'inferno: nei lager di Stalin

Non sono molte le persone che possono raccontare con testimonianze dirette l'orrore dei gulag staliniani. Men che meno gli italiani. Può farlo però Pietro Amani che fu uno dei molti soldati italiani presi prigionieri dai sovietici durante la disfatta dell'Armir nel terribile inverno '42-43. Amani, che ha anche un Diario di prigionia - di cui in questa pagina presentiamo un estratto per gentile concessione di Banca di Piacenza che l'ha appena pubblicato - sarà presente questa sera per raccontare la sua storia, a Piacenza all'incontro «Un piacentino reduce dai gulag» dove sarà presentato il libro. All'incontro, moderato dal giornalista Stefano Mensurati, saranno presenti anche due studiosi dell'universo concentrazionario sovietico: Francesco Bigazzi (autore di Il primo gulag: le isole Solovki) e Dario Fertilio. Saranno mostrati durante la serata (dalle 17,30 a Palazzo Galli, sala Panini) anche due filmati inediti che mostrano i prigionieri italiani sottoposti a rieducazione alla «pace» da parte dei carcerieri russi e costretti a marciare nella neve o accanto ai cadaveri di altri soldati meno fortunati di loro.

A spiegare come sia nata l'opportunità di ristampare le memorie di Amani e quale sia il loro valore è proprio Stefano Mensurati. «Io stavo portando avanti un progetto per indagare il destino degli italiani di Crimea finiti nei gulag, durante la seconda guerra mondiale, solamente perché di origine italiana. Erano in Crimea dall'Ottocento, ma durante la guerra vennero perseguitati e rinchiusi. Durante questa indagine, finanziata da Assopopolari e commissionata a tre ricercatori, ci siamo accorti che nello stesso gulag, il numero 99, in Kazakistan erano stati rinchiusi anche 940 soldati italiani. Il dramma di questi militari, come quello degli italiani di Crimea, non è mai stato compiutamente indagato». Così, oltre a organizzare una mostra itinerante sugli italiani di Crimea Mensurati ha aggiunto una appendice sui militari che nessuno era mai andato a cercare: «È incredibile. I russi ci hanno spiegato che da quando la documentazione è disponibile altri Paesi hanno iniziato a fare il possibile per rintracciare i propri connazionali, ma l'Italia no». E questo ha consentito di rintracciare alcuni dei superstiti, come Amani.

La vicenda di Amani, catturato il giorno di Natale del 1942, liberato, dopo privazioni a non finire e lavori forzati, nel settembre del '45 e il cui viaggio di ritorno a casa durò circa tre mesi, in treno, via Berlino, Francoforte e il Brennero, è solo l'esemplificazione del destino in buona parte ancora ignoto di migliaia di soldati. Basta però qualche passaggio di questo diario per rendersi conto di quanto fosse atroce: «eravamo terribilmente dimagriti...

Le gambe erano grosse solo nelle giunture, non c'era più spessore di carne e la pelle era come arrugginita, con grandi chiazze scure nelle parti del corpo ove le ossa erano maggiormente a contatto con il pavimento».

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