Cultura e Spettacoli

Così il vero Bernardo Gui stanava eretici

Il manuale del grande inquisitore è una porta affascinante sul passato

Così il vero Bernardo Gui stanava eretici

Bernardo Gui è il cattivo del romanzo, del film e ora della serie Il nome della rosa (dove è interpretato da Rupert Everett). Un gelido inquisitore, carico di preconcetti ideologici, che, già dalla descrizione fisica, Umberto Eco inchioda al suo ruolo di intelligente e quasi diabolico persecutore di eretici: «Era un domenicano di circa settant'anni, esile ma dritto nella figura. Mi colpirono i suoi occhi grigi, freddi, capaci di fissare senza espressione, e che molte volte avrei visto invece balenare di lampi equivoci, abile sia nel celare pensieri e passioni che nell'esprimerli a bella posta».

Ma chi era davvero il limosino Bernardo Gui (1261-1331)? Per capirlo si può dare direttamente la parola a lui: Newton Compton pubblica la parte più corposa e dotta del suo Manuale dell'inquisitore (pagg. 320, euro 5,90) accompagnandola con una dotta introduzione di Marcello Simoni.

Come spiega Simoni, Bernado Gui fu in primo luogo un uomo di grande dottrina. Nato probabilmente da una famiglia di piccola nobiltà entrò ancora bambino nel convento domenicano di Limoges. Diventato frate nel 1280 iniziò a condurre una vita intensa ed errante. Visitò le principali sedi domenicane della Francia centro-meridionale, per completare il classico percorso di studi del suo ordine (studia logica et naturalia). Nel 1284 il lettorato di logica a Brives, poi teologia a Narbonne e a Limoges. Il perfezionamento definitivo per diventare Magister lo compì a Montpellier. Era nata una piccola stella intellettuale tra i domenicani: nel 1302 era già predicatore provinciale del capitolo tolosano. La vera svolta avvenne però nel 1306, mentre ricopriva il ruolo di priore a Limoges e Papa Clemente V alloggiò nel suo convento. Il Pontefice folgorato dall'incontro con Bernardus Guidonis (così il nostro si firmava in latino) decise di affidargli il mandato di inquisitore di Tolosa. Ruolo che il domenicano svolse per 17 anni. Erano gli anni della così detta cattività avignonese. Per la chiesa un momento delicatissimo in cui la lotta alle eresie, dai catari ai dolciniani, passando per gli apostolici di Gherardo Segarelli (arso vivo a Parma il 18 luglio 1300) era questione di sopravvivenza. Gui si trovò così in prima linea. Dovette anche inventarsi gli strumenti per farlo perché le bolle papali indicavano il nemico ma sui metodi da usare e sulla giurisprudenza il vuoto era molto grande. Ecco che allora la Pratica Inquisitionis Heretice Pravitatis, come spiega Simoni, si rivelò da subito uno strumento duttile e apprezzato anche dagli altri inquisitori. La parte più interessante è proprio la catalogazione delle eresie e la loro descrizione in dettaglio. Ne esce un Bernardo Gui a metà tra il detective e il filosofo tomista nutrito del grande gusto medievale per l'enumerazione.

Ecco perché Pratica Inquisitionis è anche un documento storico decisamente prezioso per chiunque voglia studiare le idee degli eretici, anche se ovviamente filtrate dall'ottica del loro nemico. Che, da uomo del suo tempo, emise 938 sentenze di condanne individuali e 45 condanne a morte. Tutte comminate partendo da «iuxta alligata et probata» come prescrive il brocardo? Non lo sapremo mai.

Però attenzione a non farne un cattivo da romanzo, anche i dolciniani, più simpatici a Umberto Eco, hanno fatto i loro morti.

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