Cultura e Spettacoli

La cultura? Roba da manicomio. Storia vera (e folle) di un genio

Nell'800 il responsabile dell'"Oxford English Dictionary" scoprì chi era il suo principale collaboratore: un matto

La cultura? Roba da manicomio. Storia vera (e folle) di un genio

Le idee migliori, si sa, vengono in bagno. «Proprio così. Più precisamente, ero nella vasca da bagno. Stavo leggendo un libro sull'origine dei dizionari quando, del tutto casualmente, l'occhio mi è caduto su una nota in cui si faceva cenno a William Chester Minor, lo squilibrato omicida americano che fu uno dei più prolifici collaboratori dell'Oxford English Dictionary». A vedere l'album fotografico, Simon Winchester pare un turista qualsiasi: sufficientemente robusto, alquanto stempiato, sorride sempre. Classe 1944, Winchester entra al Guardian a 25 anni: dall'Irlanda del Nord racconta il «Bloody Sunday» (l'esperienza irlandese gli offre lo spunto per il primo libro, In Holy Terror, 1975), da Washington assiste alla fine della presidenza Nixon. Poi comincia a viaggiare, come freelance. Calcutta, Falkland, Cina. I vagabondaggi orientali sono narrati in un libro, Il fiume al centro del mondo (Neri Pozza), che è già un indizio di ciò che Winchester diventerà. Il massimo scrittore di non-fiction - come dicono gli inglesi, cioè di saggi con turbo narrativo - al mondo. Vent'anni fa, nella vasca da bagno, un'illuminazione gli cambia la vita. «Il lavoro di ricerca durò sei mesi - per scrivere impiegai solo sei settimane. Chi avrebbe potuto resistere alla tentazione di fronte a una storia così straordinaria?».

Il professore e il pazzo, pubblicato nel 1998 con un titolo un po' meno accattivante (Il chirurgo di Crowthorne: una storia di omicidio, follia e amore per le parole), ora tradotto da Adelphi (pagg. 262, euro 19), fu un successo clamoroso, tanto che Mel Gibson mise i soldi per farne un film che è rimasto un sogno irrisolto. La storia, in effetti, è davvero straordinaria. Nato a Ceylon nel 1834 da famiglia abbiente, figlio di un missionario congregazionalista, in Usa a 14 anni, ottimi studi, sessomane, milite durante la guerra civile americana, William Chester Minor, afflitto da manie di persecuzione, capita nella dickensiana Londra nel febbraio del 1872. Lì, in «un luogo sinistro, un guazzabuglio di baracche e peccato», uccide un uomo, George Merrett, fuochista, 34 anni, una moglie e tanti figli, senza una ragione. Considerato insano di mente, Minor, per decisione del presidente della Corte, fu «custodito in un luogo sicuro», nel villaggio di Crowthorne, in una dimora per matti. Questa la scheda medica che lo riguarda: «Magro, pallido, lineamenti spigolosi, capelli chiari biondo rossiccio, occhi incavati e zigomi pronunciati. Ha 38 anni, un'istruzione superiore, più precisamente è medico chirurgo, ma è di religione ignota. Pesa 64 chilogrammi, ed è ufficialmente riconosciuto come pericoloso per i suoi simili».

Qui la storia di Minor s'intreccia con quella dell'insigne James Murray, responsabile dell'impresa linguistica più ardua mai tentata nel regno di Sua Maestà: la compilazione dell'Oxford English Dictionary, «dodici ponderosi volumi; 414.825 parole definite; 1.827.306 citazioni esemplificative utilizzate, decine di migliaia delle quali offerte dal solo William Minor». Proprio così: il patrimonio della lingua inglese si fonda sulla sapienza di un pazzo omicida che tra le varie ossessioni annoverava quella per le lingue morte e la filologia fai da te. Minor inviava le schede dei lemmi - prodigiosamente precise - per posta. Quando James Murray decise di far visita al suo sagace collaboratore (parole sue: «lo trovai, per quanto riuscii a capire, sano di mente tanto quanto me, un uomo molto colto ed erudito, con notevoli propensioni artistiche») il pasticcio era fatto e i giornali tuonarono, «Omicida americano aiuta a scrivere l'Oxford English Dictionary», scrisse il Sunday Star di Washington, ricamando, «il misterioso collaboratore di un dizionario d'inglese si è rivelato un ricco medico americano recluso al manicomio criminale».

La vicenda di Minor, in realtà, regala altri sfiziosi particolari. Il tipo, che doveva avere capacità seduttive triple, intrattenne una relazione con la signora Merrett, vedova del fuochista che aveva assassinato. Costei gli recapitava «pacchi di libri provenienti dagli antiquari di Londra», e nei recessi della casa di cura gli offriva - in cambio di denaro - altri favori. Fatto sta che un giorno Minor «cominciò a provare ripugnanza per i propri prodigiosi appetiti sessuali» e, come Origene - gran filologo pure lui - si tagliò il pisello. Il 6 aprile del 1910 fu Winston Churchill a firmare il permesso per il viaggio oltreoceanico di Minor: «che lasci il Regno Unito e non vi faccia più ritorno». Negli Usa il filologo folle soggiornò al St. Elizabeths, l'ospedale criminale dove, qualche decennio dopo, sarà gettato Ezra Pound. «Durante gli anni al St. Elizabeths le sue fissazioni continuarono ad aggravarsi. Denunciava che degli uccelli gli beccavano sistematicamente gli occhi, che delle persone gli introducevano in bocca del cibo a viva forza con un imbuto di metallo e poi gli davano martellate sulle unghie, che dozzine di pigmei si nascondevano tra le assi del pavimento della sua stanza ed erano emissari del mondo degli inferi».

Al di là della storia di Minor, emblematica ed oleografica, però, il genio di Winchester è quello di raccontarci l'epopea del linguaggio, l'impresa della creazione di un dizionario, «un progetto di audacia e temerarietà quasi inimmaginabili». Inabissarsi nei penetrali delle parole include nella follia? Forse sì. Nel frattempo Winchester è passato dalla vasca da bagno alla biografia oceanica (il meraviglioso Atlantico, pubblicato nel 2010, sempre in catalogo Adelphi), seguendo lo stesso, inossidabile metodo: «quando l'editore accetta la mia proposta, passo un anno a viaggiare, leggere studiare. Poi scrivo. Ogni giorno, senza fermarmi, nella stessa sperduta fattoria sulle colline del Massachusetts occidentale, dalle 5 del mattino alle 6 di sera, decisamente antisociale ed estremamente noioso». Winchester ama i poeti - Philip Larkin e W.H. Auden su tutti - è stato folgorato, da giovane, dalla lettura dei reportage di Jan Morris dall'Everest, ha appena pubblicato un libro, nel mondo anglofono, su «come la precisione ha creato il nostro mondo», s'intitola The Perfectionists, e narra, dal Settecento a oggi, la storia dei maghi dell'ingegneria. Oggi, dalla sua fattoria solitaria, Winchester, cartografo «di eroi senza fama, di storie di persone dimenticate», guarda al mondo con tenero cinismo. «Il pianeta si riprenderà dai deleteri effetti della nostra presenza, sopravvivrà a lungo dopo la nostra scomparsa», mi dice. Non ha fede «in alcun Essere Superiore», Winchester, «penso che tutto sia frutto del caso».

Proprio la voragine del caos e il suo rebus «mi fa pensare che tutto, qui, sia un miracolo».

Anche la filigrana fragile di una parola.

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